Cassazione Penale – Amputazione di un dito per la pulizia scorretta dell’affettatrice di un ristorante. Responsabilità del DL

Fatto:
1. La Corte di appello di Trento il 27 gennaio 2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovereto del 24 luglio 2014, ha concesso a M.Z. il beneficio della sospensione condizionale della pena pecuniaria inflitta; con conferma nel resto.
All’imputato, socio ed amministratore della “Ristorante pizzeria alla Torre s.n.c.” e datore di lavoro dell’aiuto-cuoca K.A., si addebita il reato di lesioni colpose gravi in danno della dipendente, che, procedendo alla pulizia dell’affettatrice, spenta ma con la presa elettrica collegata, aveva avuto un dito della mano amputata per un improvviso avvio dell’apparecchio in conseguenza dell’Inavvertito schiacciamento del pulsante di avvio; il 20 luglio 2011.
2. Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, che si affida a tre motivi con i quali evidenza promiscuamente violazioni di legge e difetto motivazionale.
2.1. Con il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione delle norme sulla formazione del dipendente (artt. 16, 37 e 73 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81) e contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione.
Premesso che la Corte di appello ha ritenuto l’imputato responsabile per avere fornito alla dipendente un’informazione inadeguata ed insufficiente in tema di salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento ai rischi specifici cui era esposta (p. 5 della sentenza impugnata), anche per averla affidata ad un cuoco che – secondo quanto si legge nella sentenza impugnata (pp. 5-6) – ha dimostrato nell’istruttoria di non sapere che doveva essere staccata la corrente prima di pulire la lama dell’affettatrice, così risultando violati gli artt. 16, 37 e 73 del d. lgs. n. 81 del 2008, assume il ricorrente che il cuoco S.M. era persona professionalmente qualificata ed esperta, come risulterebbe sia dai dieci anni di esperienza specifica sia documentalmente dal “piano di autocontrollo” della pizzeria, ove lo stesso è indicato come “responsabile autocontrollo”: ebbene, l’avere ignorato tale circostanza comporterebbe omissione di motivazione, falsa applicazione di legge e contraddizione motivazionale.
Sarebbe, inoltre, emerso dall’istruttoria testimoniale, di cui si riportano per stralcio alcuni passaggi, che il cuoco aveva fornito alla dipendente tutte le istruzioni, compresa l’indicazione che la macchina doveva essere scollegata dalla corrente elettrica prima di procedere alla pulizia della stessa, mentre la diversa valutazione della Corte territoriale sul punto (pp. 5-6 della sentenza impugnata) sarebbe erronea.
La Corte di appello avrebbe, inoltre, trascurato che nell’istruttoria di primo grado era emerso che sul posto di lavoro erano affissi cartelli con le istruzioni per pulire l’affettatrice, leggendosi che «le attività […] dovranno essere effettuate indossando dei guanti anti taglio» (così alla p. 8 del ricorso)
Quanto all’aspetto della omessa formazione della dipendente (pp. 4-5 della sentenza impugnata), si osserva che la donna aveva frequentato per due anni una scuola di formazione o – almeno – che ciò aveva dichiarato al momento della selezione per l’assunzione, sicché si sarebbe trattato di «lavoratrice altamente qualificata», poi affidata, come si è visto, alle cure di S.M. (p. 6 del ricorso).
2.2. Mediante il secondo motivo di ricorso si censura la ritenuta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto al sistema di prevenzione infortuni, la violazione dell’art. 41, comma 2, cod. pen. e l’insufficienza di prove in ordine alla sussistenza del nesso di causalità.
Premesso che la Corte territoriale ha escluso l’anomalia della condotta della lavoratrice (p. 5 della sentenza impugnata), si osserva che la macchina affettatrice era perfettamente a norma, che era dotata di sistemi che rendevano impossibile una sua accensione accidentale e che l’avvio della lama poteva avvenire solo in presenza di una piena volontà dell’agente, in quanto il sollevamento del carter di protezione bloccava il movimento: consegue che la lavoratrice avrebbe, secondo il ricorrente, intenzionalmente operato con la macchina accesa, avvicinandosi alla lama «con un panno mentre gira ed asportare il materiale ivi depositato», per sbrigarsi e per “fare prima”: infatti, «la lavoratrice, così ha riferito il teste S.M. all’udienza del 12 giugno 2014, nelle ultime settimane aveva sempre fretta di finire il proprio lavoro, per poter andare (presumibilmente e comprensibilmente) a divertirsi; così facendo, però, ha scelto lei la soluzione che le appariva come la più veloce ma, evidentemente, la meno sicura» (p. 11 del ricorso; v. anche p. 15).
Si sottolinea, inoltre, che «è circostanza di conoscenza comune e che non necessita di alcuna istruzione, che non si possa intervenire con le mani su una lama in movimento» (p. 12 del ricorso).
Le considerazioni surriferite sarebbero di tale pregnanza da risultare interrotto il nesso di causalità: il datore di lavoro, infatti, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere, mentre la vittima avrebbe tenuto una condotta abnorme, nozione a proposito della quale si richiama giurisprudenza di legittimità stimata pertinente: l’infortunata avrebbe violato le direttive ricevute, in particolare eseguendo, per sua precisa scelta, la pulizia della macchina affettatrice in maniera difforme da quanto – diligentemente – insegnatole e, anzi, annullando scientemente i sistemi di sicurezza.
2.3. Con l’ultimo motivo, infine, si contesta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto al trattamento sanzionatorio, poiché, pur essendo stata applicata all’imputato la sola pena pecuniaria, essa è stata fissata in misura prossima al massimo edittale, senza tener conto della concorrente responsabilità della lavoratrice, elemento che avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a partire dal minimo edittale.

Diritto:
1.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Si tenta, a ben vedere, da parte del ricorrente, sotto l’apparente richiamo a norme di legge che si assumono violate, di introdurre una differente lettura delle emergenze processuali, peraltro a seguito di doppia conforme, in una circostanza addirittura stravolgendo l’informazione fattuale puntualmente fornita dai giudici di merito; il ricorso presenta inoltre profili di aspecificità, come si vedrà meglio in prosieguo.
1.1. I primi due motivi dell’impugnazione possono essere trattati congiuntamente.
Quanto alla frequenza da parte di K.A. di una scuola di formazione e quanto all’ “affidamento” della stessa al cuoco S.M., si tratta di temi già posti con l’appello (pp. 3-5) e già entrambi adeguatamente confutati dalla Corte territoriale, che ha osservato – logicamente – quanto segue:
quanto al primo aspetto, che la scuola alberghiera non tratta, se non in maniera del tutto generica, la tematica della sicurezza nella pulizia dell’affettatrice (p. 4 della sentenza impugnata) e che l’addestramento deve essere, comunque, effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro ai sensi dell’art. 37, comma 5, del d. lgs. n. 81 del 2008;
quanto all’ulteriore, che il cuoco S.M. ha dimostrato, «in giudizio, di non sapere che dovesse essere staccata la corrente prima di pulire la lama dell’affettatrice», con puntuale richiamo al riguardo da parte dei giudici di merito del relativo passaggio testimoniale (pp. 5 e 6, nota n. 1, della sentenza impugnata), al quale il ricorrente si limita ad opporre un brandello, peraltro decontestualizzato, di istruttoria (p. 7 del ricorso).
Con il che si evidenzia non soltanto difetto di specificità del ricorso, che non si misura con le argomentazioni della sentenza di secondo grado, reiterando temi già posti e già adeguatamente disattesi (del resto, il ricorso è in significativa parte attributario, anche graficamente, dell’atto di appello), ma anche, e soprattutto, l’errore logico fondamentale dell’impugnazione in esame, che dà a più riprese per presupposto che vi sia stata una adeguata formazione della p.o., mentre ciò è stato, invece, motivatamente escluso expressis verbis nel doppio grado di merito.
La persona offesa, infatti – hanno accertato i giudici di primo e di secondo grado – non può avere ricevuto adeguata formazione circa la sicurezza nell’approcciarsi all’affettatrice da una persona, S.M., che nemmeno sapeva che occorre staccare la corrente prima di pulire la lama.
Tale circostanza, elusa dal ricorrente, appare tranciante, come parimenti tranciante la constatazione che non era stato fornito alla dipendente il libretto di istruzioni d’uso della macchina, che alle pp. 23-24, in effetti, spiega che prima di pulire la lama occorre sia scollegare la spina di alimentazione della rete sia indossare guanti metallici (come chiarito alla p. 5 della sentenza impugnata).
Né ha rilievo la qualifica di “responsabile autocontrollo” del HACCP (acronimo di Hazard Analysis and Control of Criticai Points, protocollo volto a prevenire le possibili contaminazioni degli alimenti) di S.M. – argomento, peraltro, sottolineato per la prima volta in cassazione – siccome qualifica che attiene all’igiene e non già alla sicurezza nell’uso di strumenti taglienti, né il cartello presente sul luogo di lavoro che indicherebbe, secondo la versione del ricorrente (che non indica la fonte della conoscenza), la necessità dell’uso di guanto metallico, presidio antinfortunistico che però la Corte di appello dà espressamente atto non essere stato rinvenuto (p. 5 della sentenza impugnata): elemento questo da cui si trarrebbe un ulteriore profilo di colpa (non avere messo a disposizione guanti anti-taglio).
Un altro aspetto contenuto nel ricorso (p. 11), peraltro ripetitivo dell’appello (p. 7), non ha, in realtà, dignità di argomento sottoponibile alla Corte di legittimità, risolvendosi in una mera illazione (la presunta fretta della persona offesa per “andare a divertirsi”).
Le considerazioni sull’abnormità e sul nesso di causalità svolte dal ricorrente nel secondo motivo presuppongono, quanto alla vittima, una situazione di fatto, sostanzialmente auto-lesionistica, che non è corrispondente alle emergenze istruttorie.
In ogni caso, come ben noto, l’eventuale colpa della vittima non eliminerebbe la concorrente colpa nella causazione dell’infortunio da parte del titolare della posizione di garanzia.
1.3. Quanto, infine, al trattamento sanzionatorio, i giudici di merito hanno spiegato la scelta della pena pecuniaria (peraltro sospesa) in luogo di quella detentiva, evidenziando, comunque, la modestia del quantum e l’avere già l’imputato beneficiato delle circostanze attenuanti generiche senza motivazione alcuna sulla loro meritevolezza (p. 6 della sentenza impugnata): si prende atto
che si tratta di motivazione che non presenta vizi sindacabili in sede di legittimità.
2. Consegue dalle considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/03/2017.