Cassazione Penale, Sez. 3, 01 marzo 2017, n. 10014 – Obbligo di verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria sin dalla fase di progettazione dell’opera: responsabilità di un committente
Fatto:
1. Con sentenza pronunciata in data 19.10.2015 il Tribunale di Novara ha condannato L.P. alla pena di Euro 4.000 di ammenda con il beneficio della sospensione condizionale della pena per averi in qualità di socio accomandatario della PI.GI. MAC di L.P. & C. s.a.s. e committente dei lavori eseguiti presso il capannone industriale sede della società/omesso di verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice. Avverso la suddetta pronuncia l’imputato ha proposto per il tramite del difensore ricorso in Cassazione articolando tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173, 1 comma disp. att. c.p.p.. Con il primo motivo lamenta, invocando il vizio di omessa ed illogica motivazione, di essere stato erroneamente ritenuto parte committente del contratto di appalto essendosi invece soltanto limitato a richiedere un preventivo al titolare dell’impresa D.F. per la sistemazione del tetto del capannone per conto della società che aveva ivi sede senza esserne però la proprietaria ma soltanto la locatrice finanziaria e perciò tenuta a richiedere la relativa autorizzazione ai proprietari dell’immobile: che nessun contratto di appalto fosse intervenuto con il titolare dell’impresa edile era avvalorato dal fatto che egli non era presente al momento del sopralluogo del D.F. che intendeva solo rendersi conto della tipologia della riparazione e del materiale eventualmente necessario, che non vi era prova della pattuizione di un corrispettivo, che non gli era stato inviato alcun preventivo e che pertanto il Tribunale basandosi sul solo materiale fotografico aveva illegittimamente applicato nei suoi confronti l’art. 90, comma 9 del d.lgs. 81/2008 in via anticipata rispetto a quanto previsto dalla stessa norma incriminatrice che postula il perfezionamento dell’accordo e non già dei semplici contatti tra il fruitore delle opere e la ditta non ancora incaricata della loro esecuzione.
2. Con il secondo motivo lamenta che la sentenza impugnata abbia qualificato come prove elementi insussistenti avendo desunto la conclusione del contratto di appalto dalla sola presenza, riferita dal teste escusso ispettore R.M. , all’interno del capannone di attrezzature idonee alla riparazione del tetto, senza che potesse essere demandato ad un testimone alcun giudizio di idoneità, senza che fosse stata, accertata la proprietà del suddetto materiale che ben poteva pertanto essere costituito da strumenti della società presenti sul posto e senza che il rilievo fotografico della suddetta attrezzatura, presente nella parallela inchiesta di infortunio per omicidio colposo dalla quale il ricorrente era stato assolto, fosse stato acquisito come prova del procedimento in esame.
3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge sub specie dell’art.648 c.p.p. e di contestuale omessa motivazione, il contrasto tra la sentenza impugnata e quella pronunciata nel giudizio di omicidio colposo con violazione delle norme sul lavoro, passata in giudicato, che analizzando lo stesso fatto storico aveva escluso che tra la società in accomandita di cui l’imputato era l’accomandatario ed il D.F. fosse intervenuto un contratto di appalto, con conseguente ipotizzabile contrasto fra giudicati.
Diritto:
1. Il primo motivo, da esaminarsi congiuntamente al secondo attesa la loro intrinseca connessione attenendo entrambi alla valutazione del compendio probatorio posto a fondamento della colpevolezza dell’imputato, contiene mere censure in fatto afferenti al preteso vizio motivazionale di cui si assume essere inficiata la sentenza impugnata per aver supposto il perfezionamento del contratto di appalto, che invece il ricorrente assume insussistente, con il D.F. . Il Tribunale di Novara fonda invero la responsabilità del ricorrente sulla culpa in eligendo, costituita nella mancata verifica dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa, nel rapporto intrattenuto con il D.F. per la riparazione del tetto del capannone sede della società di cui il primo era accomandatario e perciò rappresentante legale, sostenendo che tale rapporto, quand’anche non fosse approdato alla stipula di un contratto di appalto, si era comunque articolato nel consentire al preteso titolare della ditta edile di effettuare un sopralluogo presso la struttura danneggiata, salendo cioè sul tetto del capannone e verificando in concreto le opere necessarie alla sua riparazione. Le misure generali di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, che implicano a norma dell’art. 15 d.lgs. 81/2008 la valutazione preventiva e l’eliminazione dei rischi in relazione ai lavori da eseguire, pongono a carico del committente, sin dalla fase di progettazione dell’opera e delle conseguenti scelte tecniche, specifiche cautele prescritte dall’art. 90, comma 9 del medesimo decreto, fra cui la verifica nell’ipotesi di cantieri temporanei dell’idoneità tecnico professionale dell’impresa affidataria, la quale implica l’iscrizione di quest’ultima alla Camera di Commercio e l’autocertificazione in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla normativa di settore. Da ciò discende che non è affatto necessario il perfezionamento di un contratto di appalto, sia perché trattasi di adempimenti preliminari alla successiva fase della stipula, sia perché la norma in esame non contempla tale figura contrattuale – come si desume dal tenore letterale dello stesso art.90 che parla di “affidamento dei lavori” e che nella lettera c) del comma 9, contemplante a sua volta gli adempimenti di cui alle precedenti lettere a) e b), esclude espressamente la necessità del ricorso all’appalto – ben potendo la commissione esaurirsi in una mera prestazione d’opera, quale è certamente il sopralluogo sul tetto ai fini della verifica dei lavori necessari, alla quale devono comunque presiedere le cautele previste. Con motivazione coerente ed aderente ai principi affermati da questa Corte in materia di responsabilità di reati edilizi (Sez. 3 n.1334 del 26.4.2016, Marangio, Rv. 267744; Sez. 4, n.8589 del 14.1.2008, Speckenhauser, Rv. 238965) il giudice di merito ha pertanto ritenuto la culpa in eligendo dell’imputato non essendo la ditta del D.F. che, secondo la deposizione dell’ispettore, stava effettuando al momento dell’infortunio attività lavorativa sul tetto del capannone industriale, desunta dal materiale e dall’attrezzatura ivi rinvenuta, più attiva dal 2009 ed essendo la attività di artigiano edile del preteso titolare cessata sin dal 2003, senza che alcuna rilevanza assuma la proprietà, in capo all’esecutore materiale ovvero al committente, dell’attrezzatura a tal fine utilizzata. L’insussistenza dei titoli di idoneità prescritti dalla legge in capo alla ditta esecutrice dell’opera, la cui verifica configura adempimento preliminare da parte del committente rispetto a quella da effettuarsi in concreto in relazione alla capacità rispetto alla tipologia dell’attività commissionata, consente di ritenere che la sentenza impugnata, espressasi in conformità alle fondamentali regole di ermeneutica probatoria e con procedimento idoneo a fornire piena contezza dell’iter logico- giuridico dal quale è derivato il convincimento espresso, sia scevra dai vizi lamentati sul piano motivazionale.
2. In relazione al terzo motivo, deve rilevarsene l’inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza non avendo il ricorrente assolto all’onere di allegazione della sentenza di assoluzione dal reato di omicidio colposo pronunciata nei suoi confronti con ciò precludendo alla radice la valutazione della questione, costituita dal contrasto rispetto alla suddetta sentenza che avrebbe a detta del ricorrente escluso la sussistenza di un contratto di appalto con il D.F. , in relazione alla quale si sollecita il sindacato di legittimità. Il requisito della specificità dei motivi a cui è condizionata l’ammissibilità del mezzo di gravame, comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì, allorquando sia dedotto il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, quello di curarne l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 – dep. 26/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053, Sez. 2, n. 26725 dell’01/03/2013 – dep. 19/06/2013, Natale, Rv. 256723). Poiché tale adempimento non è stato curato dal ricorrente, la valutazione in questa sede deve limitarsi a verificare quanto risulta dall’impugnata sentenza: nell’affrontare ex professo la questione dell’assoluzione dell’imputato dall’omicidio colposo, afferma il Tribunale che, contrariamente a quanto assunto in questa sede dal ricorrente, anche la pronuncia di assoluzione resa dal Gip di Novara aveva tratto fondamento dall’accertata mancanza di un regolare affidamento dei lavori di cui era stato incaricato il D.F. , di talché nessun contrasto è profilabile rispetto alla motivazione resa che nell’escludere la titolarità di alcuna impresa in capo a quest’ultimo perviene con motivazione logicamente coerente nonché aderente alle emergenze processuali acquisite al verdetto di colpevolezza in ordine al reato ascrittogli quale committente non già in relazione ad un contratto di appalto, bensì di una prestazione d’opera.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, a norma dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
FONTE: Cassazione Penale
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