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Cassazione Penale, Sez. 3, 14 febbraio 2017, n. 6885 – Visita medica ai lavoratori: nessun protocollo sanitario correlato ai rischi specifici della mansione. Responsabilità del medico competente

Fatto: 1. B.G. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Trapani lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, di euro 800,00 di ammenda, per il reato di cui all’articolo 25, comma 1, lettera b), D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 per aver sottoposto in data 10 maggio 2011 a visita periodica i sig. L.S. e D.M., non attuando un protocollo sanitario definito in funzione dei rischi specifici, considerato che, dall’esame delle cartelle sanitarie e di rischio dei suddetti lavoratori, si evinceva che gli stessi risultavano esposti a rischio MMC (movimentazione manuale dei carichi) e rumore. Reato accertato in Trapani il data 19.1.2012.
2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente solleva quattro motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale per manifesta illogicità della motivazione sull’assunto che il Tribunale ha ritenuto che la mancata prescrizione di esami strumentali volti ad accertare la funzionalità degli organi bersaglio (RM ed audiometria), avesse determinato una non conforme valutazione della capacità lavorativa dei due lavoratori e che detta ipotesi avesse comportato la violazione dell’art. 25 del Testo Unico n. 81 del 2008, senza considerare che il protocollo sanitario allegato ed adottato dal ricorrente, in uno al datore di lavoro, prevedeva che ogni singolo lavoratore sottoposto a visita fornisse già al Medico competente tutti i dati fondamentali onde valutare la funzionalità degli organi bersaglio, salvo ulteriore approfondimento con eventuali altri accertamenti diagnostici. Nessun elemento nel giudizio è stato fornito in ordine ad un’eventuale e non dimostrata esistenza di una compromissione delle funzioni dei singoli lavoratori né sulla erroneità del giudizio di idoneità alla mansione espressa dal ricorrente o, ancora, in ordine all’efficacia delle misure adottate, con la conferma che l’obiettivo primario della norma, cioè assicurare che il lavoratore venisse assegnato a mansioni che garantissero la tutela delle proprie condizioni di salute, era stato comunque realizzato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale per erronea applicazione degli articoli 25 e 41 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, sul rilievo che l’articolo 41 n. 4 del decreto sopra richiamato testualmente prescrive che “Le visite mediche di cui al comma 2 (indi sia quelle preventive che quelle periodiche), a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio e ritenuti necessari dal medico competente”.
In altri termini, la norma affida all’esperienza ed alla discrezionalità del medico competente la valutazione in ordine ai presidi da adottare (nel nostro caso, prescrivendo l’adozione di presidi di sicurezza: cuffie, caschi, cinture etc.) in favore dell’Integrità del singolo lavoratore e della salute dei lavoratori, affidandola a due parametri: il primo è quello relativo ai presidi medici adottabili per scongiurare il verificarsi del rischio tipizzato in relazione all’attività svolta (desumibili dal protocollo acquisito); il secondo è quello desumibile dall’anamnesi del lavoratore, dalle condizioni fisiche, dall’età ed affidato alla discrezionalità del medico, cosicché il giudizio sulla correttezza o meno delle scelte diagnostiche adottate dal ricorrente non poteva essere basato esclusivamente sulla aderenza o meno da parte del medico a quanto richiesto dall’organismo di vigilanza, con la conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto fondare il giudizio di innocenza o colpevolezza sulla valutazione oggettiva del caso concreto, con riferimento alla specifica situazione nella quale il medico si è trovato a dover prendere la decisione della cui correttezza si discute.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale per l’erronea applicazione dell’art. 25 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 secondo il quale il medico competente programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 attraverso protocolli sanitari definiti in ragione ai rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati.
Sebbene la norma faccia espresso riferimento alle linee guida maggiormente accreditate nel determinare quali possano essere le misure adottabili onde evitare il rischio di esposizione, la discrezionalità del medico non può essere asetticamente ritenuta fonte di responsabilità penale laddove alla mancata prescrizione di un esame strumentale non segua la prova, nel caso in esame mancante, in ordine alla violazione delle regole dell’arte medica.
Nella specie, infatti, la lamentata mancata esplicazione di esami strumentali non ha comportato alcun rischio in capo ai due lavoratori in termini di idoneità alla mansione, risultando, ancora oggi, questi ultimi idonei alla medesima mansione.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale per la violazione e falsa applicazione dell’articolo 25 del decreto legislativo 81 del 2008 e dell’articolo 43 del codice penale.
Assume che le linee guida, sulle quali pure il tribunale ha fondato l’affermazione di responsabilità, possono assumere rilevanza ai fini dell’accertamento della responsabilità penale solo quando vengono indicati gli standard precisi ai quali ogni medico deve ispirare la propria condotta, ma esse non possono assurgere quale parametro per l’accertamento dei profili di responsabilità in considerazione dell’estrema flessibilità dovuta al singolo caso concreto.
L’errata interpretazione della norma effettuata dal Tribunale, secondo la quale la mancata prescrizione di esami strumentali equivale a connotare un profilo di responsabilità penale in capo al medico, va dunque corretta nella misura in cui sarebbe stato necessario premettere e ritenere che le linee guida o i protocolli non possono acriticamente assurgere a rango di fonti di regole cautelari codificate, secondo il paradigma dell’articolo 43 del codice penale poiché, in tal modo, si arriverebbe all’evidente paradosso di ritenere che l’attività medica sia retta dall’adozione di regole rigorose e predeterminate.

Diritto:
1. Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.
2. I motivi di impugnazione, essendo tra loro intimamente collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
2.1. Il Tribunale, a seguito di una complessa istruttoria dibattimentale, è pervenuto, avuto riguardo alla documentazione acquisita e ai chiarimenti offerti dai funzionari del Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro, ad affermare la responsabilità penale dell’Imputato sulla base del fatto che non era stato attuato nei confronti di due lavoratori il protocollo sanitario correlato ai rischi specifici, cui gli stessi lavoratori risultavano esposti, ed in particolare, MMC (Movimenti Manuali da carico) e rumore, trattandosi di operai edili, circostanze emerse dall’esame delle cartelle cliniche ed all’esito della visita ispettiva effettuata il 19 gennaio 2012.
Dal testo della sentenza impugnata, si apprende poi che i rischi, cui i lavoratori erano esposti, risultavano indicati nelle rispettive cartelle, senza che fossero stati disposti gli accertamenti complementari atti a valutare la funzionalità dei cosiddetti organi bersaglio ossia degli organi particolarmente esposti a rischio per effetto delle mansioni lavorative esercitate.
Con specifico riferimento alle omissioni contestate al ricorrente, il Tribunale ha ritenuto che – per i lavoratori esposti, come nella specie, a determinati rischi professionali trattandosi di operai edili – il “medico competente”, che procede alla visita, non può basarsi soltanto sul dato anamnestico, che potrebbe essere falsato da una sottovalutazione o ignoranza da parte del lavoratore, né può accontentarsi di prescrivere esami clinici, emettendo al contempo un giudizio di piena idoneità, come invece è accaduto nel caso di specie, senza attendere l’esito dell’accertamento dagnostico-strumentale, che, per entrambi i lavoratori, non era stato richiesto fin dalla visita preventiva, ma solo in una delle visite periodiche successive. E ciò nondimeno, come emerso dal testimoniale, il ricorrente emise il giudizio di idoneità sia in esito alla visita preventiva che in esito alla successiva visita di controllo, senza prima acquisire ed esaminare il referto audiometrico, particolarmente importante per via delle mansioni esercitate dai lavoratori, esposti al rumore, e ciò a dimostrazione di un modus procedendi superficiale e poco rispettoso dei protocolli sanitari.
3. Sulla base di tali acquisizioni, le doglianze sollevate dal ricorrente non sono fondate perché i reati commessi dal medico competente in violazione degli obblighi posti a suo carico sono reati di pericolo astratto per la cui configurabilità non è necessario che dalla violazione dell’obbligo derivi un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore, anzi la funzione stessa del sanitario è preordinata ad evitare tali evenienze perché il legislatore, richiedendo che la figura del medico competente sia individuata sulla base di specifici parametri e nel richiedere contestualmente anche una comprovata esperienza professionale del medico designato (art. 55), ha inteso evidentemente individuare la figura di un medico di qualificata professionalità, in grado di diventare il collaboratore del datore di lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione aziendale (Sez. 3, n. 26539 del 21/05/2008, in motiv.).
Ne consegue l’infondatezza del primo motivo mentre, quanto alle restanti doglianze (secondo, terzo e quarto motivo) tutte incentrate sulla ritenuta non precettività delle linee guida e dei protocolli in considerazione dell’autonomia professionale del medico e delle scelte di natura tecnica e discrezionale che senza dubbio gli competono, lo stesso ricorrente si mostra avvertito del fatto che, sulla base della normativa di cui al d.lgs. n. 81 del 2008, il medico competente programma ed effettua la sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 attraverso protocolli sanitari definiti in ragione ai rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati, sicché i protocolli sanitari, in tema di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, non escludono che il medico aziendale possa prescrivere accertamenti più approfonditi di quelli necessari che, in quanto prescritti dalla buona arte medica, sono perciò contemplati in linee guida o protocolli accreditati dalla comunità scientifica; ma proprio per questo motivo il medico competente non può esimersi dal prescrivere e quindi deve prescrivere quelli minimi richiesti per un’efficace prevenzione che, con accertamento di fatto, adeguatamente e logicamente motivato, il Tribunale ha escluso sia stata assicurata e ciò per la fondamentale ragione che non era stato attuato nei confronti dei lavoratori il protocollo sanitario correlato ai rischi specifici cui essi erano oggettivamente esposti in considerazione delle mansioni in concreto esercitate.
Né può ritenersi maturata la prescrizione del reato contestato, sul rilievo che la contravvenzione si consuma al momento della visita medica, perché l’incriminazione ha natura di reato permanente, atteso che la condotta illecita si protrae sino al momento di ottemperanza all’obbligo di legge che, nel caso in esame, è stato osservato successivamente alla data di accertamento del reato con l’adempimento delle prescrizioni imposte.

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/11/2016

FONTE: Cassazione Penale

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