Crisi: Unimpresa, in un anno valore aziende crollato di 260 miliardi
Il presidente Ferrara: “E’ il depauperamento del made in Italy, la nostra economia lasciata su un piano inclinato”.
In un anno le grandi aziende italiane hanno perso 260 miliardi di euro di valore e, di questi, 126 miliardi sono stati “bruciati” a piazza Affari dalle spa quotate. Il totale del valore della spa del nostro Paese è passato dai 2.077 miliardi del 2015 ai 1.818 miliardi del 2016 con un calo del 12%. La capitalizzazione delle imprese presenti sui listini è invece sceso da 545 miliardi a 419 miliardi, in diminuzione del 23%. Questi i dati principali di un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale il sistema imprenditoriale italiano è a trazione familiare, ma in Borsa comanda lo straniero: oltre il 41% delle quote delle società per azioni del nostro Paese è posseduto da famiglie, mentre sui listini di piazza Affari dominano gli azionisti esteri titolari di oltre il 50% delle spa quotate; in mano alle banche, il 12% delle società per azioni, quota che cala al 10% se si limita l’analisi alle sole aziende quotate; allo Stato, il 5,73% delle imprese e il 4,39% delle quotate. “Senza che ce ne accorgiamo, assistiamo al depauperamento del made in Italy: la nostra economia ha un peso sempre inferiore rispetto ad altri Paesi, scelte sbagliate del passato e l’immobilismo degli ultimi anni hanno lasciato le nostre imprese su un piano inclinato” commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.
Secondo l’analisi dell’associazione, basata su dati della Banca d’Italia aggiornati a giugno 2016, il totale del valore delle grandi imprese italiane (società per azioni) è passato da 2.077,9 miliardi dei giugno 2015 a 1.818,6 miliardi di giugno 2016 con una diminuzione di 259,2 miliardi (-12,48%). Di questo comparto fanno parte anche le spa quotate in Borsa che hanno bruciato, in 12 mesi, 126,1 miliardi (-23,13%) passando da 545,6 miliardi a 419,4 miliardi.
L’analisi si focalizza poi sulla ripartizione delle quote e sugli assetti proprietari. Per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: 41,32% rispetto al 44,51% del 2015. Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 23,92% (era il 24,13%), le imprese col 14,21% (era il 13,37%), le banche con l’11,95% (era il 10,56%) e lo Stato col 5,73% (era al 4,98%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,13% (era l’1,90%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali e agli enti di previdenza. Complessivamente, il valore delle società per azioni è sceso del 12,48%, con una diminuzione di 259,2 miliardi, calando dai 2.077,9 miliardi del 2015 ai 1.818,6 miliardi del 2016. Le famiglie hanno perso valore per 173,2 miliardi (-18,74%), gli stranieri per 66,3 miliardi (-13,23%), le imprese per 19,3 miliardi (-6,95%), le banche per 2,1 miliardi (-0,98%), le assicurazioni e i fondi pensione per 816 milioni (-2,07%). Le quote in mano allo Stato centrale sono invece cresciute di 2,6 miliardi (+2,65%); variazione positiva anche per quelle delle amministrazioni locali, salite di 140 milioni (+1,07%).
Per quanto riguarda, poi, le sole società per azioni presenti a Piazza Affari, il primato spetta agli investitori esteri detentori del 50,19% delle quote, in leggero calo rispetto al 51,74% del 2015. Nella speciale classifica, seguono le imprese col 19,01% (era il 19,22%), le famiglie con l’11,99% (era il 12,52%), le banche col 10,49% (era il 9,94%), lo Stato col 4,39% (era il 2,88%), le assicurazioni e i fondi pensione col 3,23% (era il 3,14%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali e agli enti di previdenza. Complessivamente, il valore delle società per azioni quotate è sceso del 23,13%, con una diminuzione di 126,1 miliardi, calando da 546,6 miliardi dl 2015 ai 419,4 miliardi del 2016. Gli azionisti esteri hanno perso 71,8 miliardi (-25,44%), le imprese 25,1 miliardi (-23,95%), le famiglie 18,04 miliardi (-26,04%), le banche 10,2 miliardi (-18,89%), le assicurazioni e i fondi pensione 3,5 miliardi (-20,95%). Le quote in mano allo Stato centrale sono invece cresciute di 2,6 miliardi (+17,14%); variazione positiva anche per quelle delle amministrazioni locali, salite di 140 milioni (+5,78%).