Cassazione Penale, Sez. 4, 13 luglio 2016, n. 29626 – Infortunio mortale durante la saldatura di una ringhiera. Mancanza di DPI e DPC. Responsabilità in caso di lavori affidati in appalto
Fatto:
1. La Corte d’appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Sala Consilina, appellata dagli imputati S.N. e M.A., con la quale i predetti erano stati condannati per il reato di omicidio colposo, nelle rispettive qualità.
2. La vicenda riguarda il decesso del lavoratore R.R., in occasione di un incidente sul lavoro avvenuto mentre l’uomo stava eseguendo la saldatura di una ringhiera di un terrazzo posto al primo piano di un edificio scolastico, interessato da complessivi lavori di manutenzione straordinaria e miglioramento statico. I lavori erano stati appaltati alla COS.MAR. s.r.l., società legalmente rappresentata da M.A., che – a propria volta – aveva subappaltato i lavori di montaggio e saldatura delle ringhiere alla ditta artigianale di S.N.. Era stato accertato che il R.R. era caduto da un’altezza di 3 metri e 90 centimetri dal piano di calpestio, procurandosi un grave trauma contusivo alla regione temporo parietale destra, con frattura del tavolato osseo ed emorragia cerebrale profonda (fatto accaduto in San Rufo il 25/11/2006).
In particolare, si è rimproverato agli imputati di avere consentito al R.R. di procedere alla saldatura di una ringhiera posta al primo piano e a circa 4 metri dal suolo, in assenza di ponteggio fisso o mobile, o – in alternativa – in assenza dell’imbracatura di sicurezza, e di non avere impedito la sua caduta al suolo e la conseguente morte all’istante per gravissimo trauma cranico. La condotta è stata contestata a titolo di colpa generica, dovuta a negligenza, imprudenza, imperizia, e specifica, per mancata osservanza della normativa in tema di prevenzione infortuni sul lavoro [art. 16 d.P.R. 494/96 (ndr. art. 16 D.P.R. 164/56) che impone per i lavori in altezza superiore a due metri al datore di lavoro diretto e al responsabile di cantiere, l’adozione delle opere provvisionali o comunque precauzionali atte ad eliminare i pericoli di caduta; art. 7 lett. a) d.lgs. 626/94 che impone in tema di subappalto al datore di lavoro diretto e al responsabile di cantiere la cooperazione all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro].
3. L’imputato S.N. ha proposto ricorso a mezzo di difensore, con il quale ha censurato sia l’ordinanza ex art. 603 del codice di rito adottata dalla Corte d’appello di Salerno in data 28/11/2014, che la sentenza.
Quanto alla prima, ha dedotto violazione di legge, esponendo le circostanze che avrebbero dovuto imporre la nuova audizione del teste V. e l’audizione degli altri testi indicati, non avendo il giudice d’appello neppure esposto nell’ordinanza parzialmente reiettiva le ragioni della propria decisione.
Quanto alla sentenza, ha formulato cinque distinti motivi:
– con il primo, ha dedotto vizio motivazionale, nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto di non accogliere integralmente la richiesta difensiva, limitandosi ad acquisire le fotografie prodotte e la memoria-istanza difensiva, trascurando l’importanza della prova offerta e ritenendo che essa non fosse sopravvenuta alla sentenza di primo grado, trattandosi di elementi intesi ad avvalorare l’assunto secondo cui fu il lavoratore ad omettere di indossare le strumentazioni di sicurezza debitamente fornite dal datore di lavoro; sotto altro profilo, con specifico riferimento al tema parallelo della constatata assenza del ponteggio, si è rilevato che il suo allestimento regolare era stato verificato dallo S.N. e dai suoi dipendenti prima dell’inizio dei lavori e utilizzato sino al giorno precedente quello del sinistro, essendo stato rimosso dagli operai della ditta M.A. senza alcuna motivazione, e soprattutto senza rendere edotti lo S.N. e i suoi operai;
– con il secondo, ha dedotto violazione di legge, con riferimento all’individuazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro, avuto riguardo alla specificità dell’opera da eseguirsi da parte della ditta S.N. (saldatura di ringhiera da effettuarsi dal piano di calpestio e non in quota, con erronea evocazione, quindi, dell’art. 16 del dl.lgs. 626/94), rilevandosi che l’installazione di ponteggi per lavori in quota è alternativa rispetto alla fornitura di dispositivi individuali (nel caso di specie imbracatura);
– con il terzo motivo, ha dedotto vizio motivazionale con riferimento al punto concernente il comportamento tenuto dalla vittima nell’occorso;
– con il quarto motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento al trattamento sanzionatorio, da una parte censurando il rigetto della richiesta di riconoscimento della attenuante del risarcimento del danno, integralmente satisfattorio ed effettuato nel corso del giudizio di primo grado; dall’altra, la quantificazione concreta della pena, invocata subordinatamente nel minimo edittale, tenuto conto della incensuratezza dell’imputato e del quadruplice concorso di colpa (quello cioè della vittima, del M.A., del coordinatore dei servizi di sicurezza e del direttore dei lavori);
– con il quinto motivo, infine, ha dedotto vizio motivazionale nella parte in cui il giudice del gravame, sempre in punto dosimetria della pena, non avrebbe tenuto in conto che la gravità dei fatto, cui ha agganciato la sua decisione, va valutata anche alla luce del grado di colpa e dell’apporto recato al verificarsi dell’evento dalla vittima, non avendo specificamente motivato inoltre sulla richiesta di conversione della pena in quella equivalente pecuniaria.
4. L’imputato M.A. ha proposto ricorso a mezzo di proprio difensore, formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento all’art. 7 del d.lgs. 626/94, vizio motivazionale e travisamento della prova, con riferimento all’adempimento dell’obbligo di verifica, da parte dell’appaltante/datore di lavoro, della idoneità tecnico professionale della impresa subappaltatrice, contestando altresì l’applicabilità dell’art. 7 comma 2 lett. B) d.lgs. 626/94, non essendovi stata più alcuna interferenza al momento dell’incidente, per avere la ditta M.A. esaurito la propria lavorazione e osservando che la regola generale di cooperazione contiene una deroga (art. 7 comma 3) per il caso di rischi specifici che resterebbero a carico esclusivo del sub-appaltatore.
Con successiva memoria, depositata in data 04/04/2016, la difesa dell’imputato M.A. ha formulato due ulteriori motivi:
– con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale della sentenza nella parte in cui il giudice d’appello ha ritenuto di rigettare la richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, motivata dalla necessità di dar prova contraria alla ritenuta circostanza della chiusura dei lavori da parte del responsabile COS.MAR., con conseguente smontaggio dei ponteggi;
– con il secondo, ha dedotto analoghi vizi, con riferimento al ritenuto rischio interferenziale, contestando che, nel caso di specie, possa applicarsi la norma di cui all’art. 7 citato, avuto riguardo anche alla semplicità dei lavori commissonati alla ditta S.N., per i quali erano sufficienti i mezzi di sicurezza individuali indicati nel POS (che ha allegato in copia), trattandosi di lavori espletabili anche non contemporaneamente, rispetto a quelli facenti capo alla COS.MAR., sicché l’interferenza tra le due imprese non era necessaria, ma solo eventuale.
Diritto:
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Il giudice dell’appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta delle risultanze probatorie, richiamando circostanze processualmente certe, quali l’assenza di opere provvisionali di protezione verso il vuoto (ponteggi ovvero impalcature), nonostante si trattasse di attività che doveva essere svolta ad altezza superiore ai 2 metri; la circostanza che la vittima non indossasse alcun dispositivo di protezione individuale (cintura di sicurezza e casco), nonostante il POS depositato dalla COS.MAR. prevedesse per le lavorazioni comportanti il rischio di caduta di persona la predisposizione di ponteggi e l’applicazione di parapetti e il POS della ditta dello S.N. prevedesse, per la posa in opera e il montaggio delle ringhiere, l’utilizzo dell’imbracatura di sicurezza, specie qualora si fosse accertata l’assenza di mezzi di protezione collettiva (sostanzialmente i ponteggi).
2.1. A specifica confutazione dei motivi di appello formulati dal M.A., quel giudice ha osservato che la responsabilità di costui non fosse esclusa dal subappalto di parte dell’opera ad altra ditta, poiché, in caso di lavori affidati in appalto, la ditta appaltante o subappaltante deve fornire le informazioni necessarie sui rischi specifici e sulle misure da essa stessa adottate in relazione all’attività da svolgere, ed entrambe le ditte devono cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione per i rischi inerenti all’esecuzione dell’opera appaltata, richiamando la norma generale del d.lgs. n. 626 del 1994, art. 7, applicabile anche ai cantieri edili, in quanto non derogata da specifiche disposizioni del d.lgs. n. 494 del 1996, in forza della quale vi è un obbligo generale di collaborazione antinfortunistica tra subappaltante e subappaltatore, che esclude – in quanto tale – la possibilità che il primo si liberi della sua responsabilità prevenzionale quando affida al secondo l’esecuzione dei lavori che gli sono stati appaltati, o di parte di essi.
Quanto, poi, al rischio interferenziale, la Corte d’appello ha rilevato che, proprio nel momento in cui vi era stata la reale interferenza tra le rispettive lavorazioni, il ponteggio era stato rimosso dalla ditta del M.A., in assenza della ditta dello S.N. (che addirittura assumeva di avere ignorato la circostanza), ritenendo altresì smentito dalla documentazione fotografica l’assunto difensivo secondo cui, al momento dell’infortunio mortale, la prima aveva già finito l’esecuzione della propria parte dell’opera.
Infine, con riferimento alle misure di salvaguardia, la Corte territoriale ha ritenuto del tutto irrilevante l’affidamento fatto sull’utilizzo, da parte degli operai dello S.N., dell’elmetto e delle imbracature di sicurezza, come stabilito dal POS, per il caso di assenza di adeguati ponteggi, richiamando a tale ultimo proposito la normativa vigente all’epoca dei fatti e i principi formulati in materia da questa Corte.
2.2. Quanto all’imputato S.N., la Corte ha acquisito la documentazione fotografica depositata con la memoria del 23.10.2012, ritenendo che la richiesta di rinnovazione dell’Istruttoria dibattimentale riguardasse una circostanza (la messa a disposizione da parte di S.N. delle imbracature e del casco protettivo, a prescindere dalla presenza o meno sul posto del camioncino della ditta S.N.), che aveva già costituito oggetto dell’istruttoria, attraverso l’esame del teste D.A.M., riconducendo la richiesta di rinnovazione formulata dall’appellante all’ipotesi di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, a fronte delle quali il giudice d’appello deve disporre la rinnovazione dell’Istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti.
Tale decisività è stata esclusa, nella specie, per la semplice ragione che la circostanza della messa a disposizione dei DD.PP.II. da parte di S.N. non ne escludeva la responsabilità per il fatto in contestazione.
Ed infatti, anche per lo S.N. quel giudice ha richiamato le considerazioni svolte con riferimento alla posizione dell’imputato M.A., quanto all’evidente difetto di coordinamento tra le due imprese coinvolte nei lavori, che ha portato – proprio nel momento di effettiva interferenza – l’uno ad ignorare che l’altro aveva rimosso il ponteggio, e all’indebita preferenza accordata all’imbracatura rispetto alla scelta, ritenuta dalla legge assolutamente preminente, dell’allestimento del ponteggio, ancora una volta richiamando i principi di elaborazione giurisprudenziale.
Infine, quanto al comportamento del lavoratore deceduto (con particolare riguardo alla mancata utilizzazione delle imbracature di sicurezza disponibili), la Corte di
merito ha ritenuto corretta, sul piano logico-giuridico, l’affermazione del Tribunale secondo cui il comportamento imprudente del lavoratore deceduto non aveva spiegato alcuna efficacia interruttiva del nesso causale tra le gravi omissioni contestate agli odierni imputati e l’evento mortale agli stessi ascritto, non potendosi esso ritenere abnorme, tale cioè da incidere in termini giuridicamente rilevanti sullo sviluppo del rapporto condizionalistico tra le condotte omissive contestate e l’evento, trattandosi di comportamento rientrante nell’ambito del segmento lavorativo attribuito al R.R. e del tutto privo dei caratteri della stranezza e dell’assoluta imprevedibilità.
La Corte ha poi ritenuto infondato il rilievo concernente l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, rilevando che pacificamente il risarcimento era avvenuto dopo l’apertura del dibattimento all’udienza del 15.10.2008, prevededo invece l’art. 62 n. 6 c.p. che l’integrale risarcimento del danno intervenga “prima del giudizio”.
Ha quindi motivato in ordine alla dosimetria della pena, rigettando anche l’ultimo motivo di gravame, per le stesse considerazioni fondate sulla valutazione degli elementi di cui all’art. 133 c.p., tra cui la gravità del fatto colposo ascritto all’imputato.
3. A fronte di tale apparato motivazionale, la difesa dell’imputato M.A., con le sue censure, ha opposto al ragionamento del giudice d’appello l’assunto secondo cui per il committente/datore di lavoro sarebbe sufficiente, ai fini della verifica dell’idoneità tecnica e professionale dell’impresa subappaltatrice, il controllo circa la regolare iscrizione di essa alla Camera di commercio industria e artigianato (art. 7 lett. a), avendo il M.A. fornito tutte le informazioni sui rischi specifici attraverso la consegna ed il deposito dei grafici progettuali e del piano di sicurezza e coordinamento allegato al progetto dell’ing. F.M., rispetto al quale l’impresa S.N. aveva poi presentato il suo POS che prevedeva espressamente l’utilizzo delle imbracature e dell’elmetto di protezione per lavori sui ponteggi.
Quanto poi al rischio interferenziale, ha contestato che il coordinamento tra le imprese fosse stato solo formale, atteso che, proprio nel momento in cui c’era stata la reale interferenza tra le rispettive lavorazioni, era emerso che il ponteggio era stato rimosso, non essendo neppure applicabile, nel caso di specie, l’art. 7 comma 2 lett. b), non configurandosi alcuna effettiva interferenza tra le lavorazioni delle due imprese, avendo l’impresa M.A. già terminato la propria parte di lavori.
Sul punto, la parte ha osservato che il giudice di primo grado non aveva escluso il fondamento giuridico dell’assunto difensivo circa la non interferenza tra le due lavorazioni, ma ritenuto non provata la circostanza che effettivamente l’impresa M.A. avesse terminato la sua parte di lavori, essendo emerso da un fotogramma (riproducente lo stato dei luoghi al momento dell’incidente) che non era stata ultimata la tinteggiatura esterna dell’edificio, rilevando, a tal proposito che il contratto d’appalto prevedeva che i lavori di tinteggiatura commissionati dall’ente appaltante riguardavano solo il nuovo telaio in cemento armato (pilastri e travi di collegamento), ma non anche la facciata dell’edificio.
Ha poi contestato la decisione nella parte relativa alla richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, esponendo che la parte aveva richiesto di procedere alla escussione del responsabile del Comune per la sicurezza del cantiere e disporsi la acquisizione del contratto d’appalto (capitolato generale, capitolato speciale, elaborati grafici ed elenco prezzi unitari) tra la COS.MAR e il Comune di San Rufo, a dimostrazione che i lavori erano già finiti al momento dell’incidente, atteso che le opere incomplete evidenziate dal Tribunale non rientrerebbero nel contratto d’appalto, ciò con riferimento alla ritenuta illegittima rimozione dei ponteggi per non avere la ditta M.A. ancora esaurito la propria lavorazione e per essere quindi ancora sussistente il rischio interferenziale. Al contrario, la parte ha dedotto che nel caso di specie detta interferenza era cessata e la ditta S.N. era tenuta unicamente ad utilizzare i dispositivi di sicurezza individuale, come risulta dal POS di quell’impresa.
4. La difesa dello S.N. ha opposto al ragionamento del giudice del gravame la presunta incompletezza della istruzione svolta, poiché, dopo il deposito della sentenza di primo grado, la difesa aveva provveduto ad interpellare uno dei testi escussi, il testimone M.llo V., il quale aveva confermato di avere effettuato dei rilievi fotografici, consegnandone copia ad un legale presente. Cosicché la richiesta della difesa era intesa a far acquisire, mediante la rinnovazione dell’istruttoria, tale circostanza al processo, con nuova escussione del V. e con l’audizione del legale cui le foto erano state consegnate e del sindaco del Comune di San Rufo, proprietario della scuola interessata dai lavori edili di che si tratta.
Ha contestato la natura di prove sopravvenute, rilevando che non può addebitarsi al datore di lavoro che si avvalga di un proprio collaboratore, al quale abbia dato le dovute preventive indicazioni operative sul posto di lavoro e consegnato le dovute strumentazioni di sicurezza, anche l’onere di verificare quotidianamente e costantemente l’utilizzo di esse, traducendosi tale onere in una insostenibile responsabilità oggettiva del datore di lavoro.
Quanto al comportamento della vittima, la parte ha censurato la valutazione condotta sul punto dalla Corte di merito, rilevando che la condotta imprudente del R.R. era stata dimostrata anche dalla circostanza che la ringhiera poteva essere saldata dal piano di calpestio e dalla testimonianza del D’A.M., dipendente dello S.N., anch’egli presente sul cantiere il giorno dell’Incidente, il quale aveva constatato che il R.R. si era del tutto inopinatamente ed inutilmente ripiegato sulla ringhiera che stava posizionando, il che configurerebbe un comportamento abnorme del lavoratore che si pone fuori dalla sfera di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di salvaguardia a tutela della incolumità sui luoghi di lavoro.
5. Una premessa s’impone, alla luce del tenore dei motivi formulati nei ricorsi.
E’ del tutto evidente come le parti abbiano sostanzialmente riproposto in sede di legittimità le doglianze fondanti il gravame, alle quali la Corte di merito ha dato tuttavia una puntuale risposta, attraverso il legittimo rinvio alla sentenza di primo grado (soprattutto per quanto riguarda il compendio probatorio utilizzato), sostenuto peraltro da un vaglio critico, filtrato attraverso i motivi d’appello, pervenendo alle conclusioni rassegnate solo all’esito di un articolato, quanto completo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo.
Ciò rende i singoli motivi manifestamente infondati, atteso che, per il loro tramite, le parti hanno prospettato una inammissibile rivisitazione della valutazione delle prove e sollecitato un sindacato di merito, del tutto estraneo alla natura del controllo di legittimità.
5.1. Del tutto corretta è la ricostruzione della posizione di garanzia del M.A. (committente/datore di lavoro), in relazione al subappalto dei lavori alla ditta S.N.: sul punto, pare sufficiente un rinvio alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per affermare che, in tema di prevenzione degli infortuni, l’appaltatore che proceda a subappaltare l’esecuzione delle opere non perde automaticamente la qualifica di datore di lavoro, neppure se il subappalto riguardi formalmente la totalità dei lavori, ma continua ad essere responsabile del rispetto della normativa antinfortunistica, qualora eserciti una continua ingerenza nella prosecuzione dei lavori, essendo titolare dei poteri direttivi generali concernenti quel cantiere (Sez. 3 n. 50996 del 24/10/2013, Rv. 258299; sez. 4 n. 32943 del 27/05/2004, Rv. 229084; n. 5977 del 15/12/2005, Rv. 233245; n. 21471 del 20/04/2006, Rv. 234149; n. 42477 del 16/07/2009, Rv. 245786).
Parimenti congrua è la ricostruzione del rischio interferenziale operata in sentenza, tenuto conto che, in tema di infortuni sul lavoro, la predisposizione da parte del datore di lavoro committente di misure di prevenzione finalizzate a gestire il rischio interferenziale, che ha origine per il coinvolgimento nella procedura di lavoro di diversi plessi organizzativi, non esclude la necessità di adottare le misure previste per i diversi rischi specifici a meno che queste non risultino inefficaci e dannose ai fini della sicurezza dell’ambiente di lavoro (cfr. Sez. 4 n. 18200 del 07/01/2016, Rv. 266640).
La contestazione circa l’esistenza di un effettivo coordinamento tra le due imprese è stata esaminata dalla Corte d’appello sulla scorta delle risultanze probatorie, addirittura attestanti la mancata comunicazione tra una ditta e l’altra dell’avvenuta rimozione dei ponteggi, necessari per eseguire l’opera di posizionamento delle ringhiere in sicurezza, essendo rimasto smentito anche l’assunto secondo cui, al momento del posizionamento delle ringhiere, la ditta M.A. avrebbe ultimato la sua parte di lavori. Sul punto, la Corte territoriale ha fornito esaustiva risposta, anche sotto il profilo della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, cosicché la riproposizione della doglianza in questa sede si traduce in una contestazione della valutazione di merito operata dalla Corte territoriale, preclusa a questo giudice, in presenza di una motivazione che, come già sopra precisato, è esente dai vizi denunciati.
5.2. Anche i motivi fondanti il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato S.N. sono manifestamente infondati.
Quanto alla dedotta incompletezza della istruttoria dibattimentale, la risposta della Corte di merito è del tutto coerente con la ratio della disposizione di cui all’art. 603 codice di rito, tenuto conto della natura della prova dedotta e del giudizio di non decisività di essa, doverosamente quanto congruamente svolto dal giudice del gravame, anche alla luce degli elementi di prova già assunti. Di una tale motivazione la parte sembra non aver tenuto conto, avendo riproposto la doglianza senza alcun previo confronto con le ragioni analiticamente esposte nella sentenza impugnata.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato: la Corte di merito ha correttamente individuato gli obblighi gravanti sul datore di lavoro, proprio avuto riguardo alla specificità dell’opera da eseguirsi, l’istruttoria avendo pure dimostrato che la saldatura della ringhiera comportava per il lavoratore la necessità di sporgersi nel vuoto (cfr. pag. 4 il rinvio alla testimonianza D’A.M.) e tenuto conto del comprovato difetto di coordinamento tra la due ditte, sul quale si è detto a proposito della posizione del M.A.. La parte, nel riproporre le doglianze già formulate in appello, denuncia un mancato effettivo confronto con le ragioni che sostengono la decisione che, scevre dai vizi denunciati, restano sottratte al sindacato di legittimità.
Quanto alla dedotta abnormità del comportamento del lavoratore, l’argomento è stato ampiamente e del tutto congruamente affrontato dalla Corte di merito e, ancora una volta, le censure articolate con il ricorso non evidenziano vizi del ragionamento svolto da quel giudice, ma ripropongono inammissibilmente una diversa interpretazione del compendio probatorio, che costituisce oggetto proprio del sindacato di merito.
Sul punto, pare peraltro sufficiente un richiamo alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per rilevare che la decisione del giudice di merito è del tutto coerente con i principi da essa ricavabili, atteso che l’obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell’infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell’ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o dall’inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all’evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento [Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227].
Infine, la sentenza è congruamente motivata sia con riferimento al diniego dell’attenuante dell’integrale risarcimento del danno, prevista dall’art. 62 n. 6 cod. pen., avendo il giudice d’appello opportunamente rinviato alla giurisprudenza di questa Corte che – anche più di recente – ha ribadito che, ai fini del suo riconoscimento, il risarcimento deve intervenire prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (cfr. Sez. 3 n. 17864 del 23/01/2014, Rv. 261498); che avuto riguardo alla dosimetria della pena e all’esercizio del potere discrezionale del giudice nella sostituzione della pena detentiva, rispetto ai quali il giudice d’appello ha richiamato il criterio seguito (gravità del fatto colposo) e sottolineato la prossimità al minimo edittale della pena inflitta.
6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di € 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 20 aprile 2016
FONTE: Cassazione Penale
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