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Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 26 febbraio 2016 (dep. maggio 2016), n. 21572 – Franamento del terreno e schiacciamento dell’operaio. Omesso consolidamento delle pareti di scavo

Terre e Rocce da ScavoFatto:
1. Il Tribunale di Termini Imerese, Sezione distaccata di Corleone, con sentenza resa in data 15 gennaio 2013 ad esito di dibattimento, -assolveva LR.M.C., per non aver commesso il fatto, ma -dichiarava LR.G. responsabile dell’imputazione di omicidio colposo con violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente M.C., nella qualità di responsabile tecnico e direttore di cantiere per l’impresa Costruzioni elettrodotti Co.EI srl, esecutrice dei lavori per la realizzazione della linea elettrica ad alta tensione Ciminna/CP Cappuccini – CP – Mulini; fatto commesso in S. Cristina Gela Contrada Massariotta il 5 ottobre 2006 con exitus in Catania il 14 ottobre2006.
2. La Corte di appello di Palermo con sentenza 17 settembre 2014 confermava la sentenza del giudice di primo grado.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale proponeva ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, articolando due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo deduceva violazione degli artt. 179 e 171 c.p.p. In particolare il ricorrente deduceva che mancava la prova che lui avesse avuto effettiva conoscenza del procedimento. Ciò in quanto il decreto che disponeva il giudizio era stato notificato in luogo diverso da quello da lui indicato in sede di elezione di domicilio, in occasione del primo atto di indagine. In quella occasione aveva dichiarato di eleggere domicilio presso la propria abitazione, sita in Paterno, Omissis. Tale indirizzo non era mutato nel corso del procedimento. Tuttavia la notifica del decreto che disponeva il giudizio era stata effettata presso la sede operativa della Co.el srl, in Paterno a mani della figlia non convivente LR.M.C.. Alla stessa era stato notificato il decreto che disponeva il giudizio a lei indirizzato e, per comodità del notificatore, anche quello a lui indirizzato, benché lui non fosse convivente con la figlia e benché fosse domiciliato elettivamente altrove. Aggiungeva che, trattandosi di nullità assoluta, si trattava di questione che correttamente era stata sollevata per la prima volta in grado di appello.
3.2. Con il secondo deduceva violazione di legge in relazione agli artt. 40, 589 c.p. e 12 d.P.R. n. 164/56. In particolare, il ricorrente si lamentava del fatto che la Corte territoriale aveva rinvenuto nella mancata adozione dei dispositivi di protezione previsti dal citato art. 12 (oggi contenuto nell’art. 118 del d. lgsvo n. 81/2008) la causa determinante il franamento del terreno ed il successivo schiacciamento dell’operaio deceduto, senza tuttavia considerare che la norma non poteva trovare applicazione nel caso concreto, in quanto la situazione ed il contesto nel quale operava il lavoratore deceduto era diversa da quella disciplinata dalla norma. D’altronde la volontaria ed anomala scelta del lavoratore M. di entrare nella trincea non può non essere qualificata come evento anomalo ed imprevedibile.
4.In data 8 ottobre venivano depositate note da parte del Difensore di M. Rosaria, M. Cristina, M.C. e M. Agata Elvira, costituitesi parte civili, nonché da parte del Difensore del ricorrente: il primo controdeduceva rispetto alle argomentazioni contenute nel ricorso, del quale chiedeva dichiararsi l’inammissibilità e comunque l’infondatezza, confermando il diritto al risarcimento dei danni delle costituite parti civili sia iure proprio che iure hereditatis. Il secondo insisteva nel primo motivo di doglianza articolato in ricorso, osservando che la motivazione della Corte territoriale sarebbe legittima oggi alla luce delle intervenute modifiche alle norme sulle notificazioni, ma non può considerarsi avuto riguardo alla normativa vigente all’epoca dei fatti.

Diritto:
1. Il ricorso non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato.
2. Non fondato è il primo motivo di ricorso.
Invero, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato (cfr. seni. n. 119 del 27/10/2004, dep. 2005, Palumbo, Rv. 229539) che, in tema di notificazione della citazione dell’imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte dell’Imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale consegue la applicabilità della sanatoria di cui all’art. 184 cod. proc. pen.
E, sviluppando il suddetto principio, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che la nullità conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato (cfr., ad es., Sez. 4, sent. n. 40066 del 17/09/2015, Beliucci, Rv. 264505) o presso il domicilio eletto (Sez. 6, sent. 42755 del 24/09/2014, Zemzami, Rv. 260434) è di ordine generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi laddove ha ritenuto che nel caso di specie ricorreva una nullità a regime intermedio, che avrebbe dovuto essere dedotta nella fase di trattazione delle questioni preliminari al dibattimento ex art. 491 c.p.p., fase nella quale, invece, nel caso di specie, nulla era stato sul punto dedotto.
A sostegno del suo assunto la Corte ha correttamente osservato che:
-la notifica del decreto di citazione a giudizio era stata effettuata (anziché nel luogo del domicilio eletto, id est nella propria abitazione di residenza) presso locali riferibili alla società, attraverso la consegna a mani di soggetto, qualificatosi LR.M.C. (originaria coimputata, si rammenta, dell’odierno ricorrente), collaboratrice del di lei padre LR.G.;
-LR.M.C., oltre che figlia dell’odierno ricorrente, era amministratrice della società presso cui lo stesso svolgeva mansioni di direttore tecnico, oltre che di responsabile di cantiere per cui è processo;
-il decreto di citazione a giudizio era stato notificato all’imputato in luogo riferibile alla società, presso la quale prestava attività di lavoro l’imputato con la collaborazione della figlia;
– la consegna dell’atto in detto luogo a soggetto qualificatosi come figlia ed amministratore della società, dove il padre svolgeva mansioni tecniche, dimostra il fatto che si fosse in presenza di una sorte di impresa familiare; infatti, pur assenza di una residenza comune, di fatto, padre e figlia collaboravano sul piano tecnico ed amministrativo per la gestione della stessa società (che, malgrado la veste giuridica di società a responsabilità limitata, manteneva, nella sostanza, una forte impronta familiare nella sua gestione);
-LR.G. era legato, all’epoca della notifica, alla figlia LR.M.C. anche da comuni interessi processuali per la soluzione giudiziaria di una vicenda che aveva interessato la società, da essi gestita in comune.
Sulla base delle considerazioni che precedono la Corte ha ritenuto che la notifica, anche se effettuata in luogo diverso dal domicilio eletto, aveva comunque determinato la concreta conoscenza dell’atto giudiziario da parte dell’imputato.
In tal senso, occorre evidenziare che l’esame del fascicolo processuale – che la natura del vizio dedotto impone – consente di rilevare che il difensore dell’odierno ricorrente ebbe a presentare una istanza di rinvio dell’udienza che si sarebbe svolta davanti al Tribunale monocratico di Corleone in data 28 febbraio 2012 proprio per legittimo impedimento dell’odierno ricorrente, in relazione al quale veniva prodotto certificato medico. Quanto basta per ritenere definitivamente provato che di fatto l’odierno ricorrente aveva avuto notizia del processo.
3. Il secondo motivo di ricorso lambisce i limiti della inammissibilità
E’ noto il perimetro del sindacato, ammissibile nella presente sede di legittimità, “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27/11/1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272); che questa Corte, nel momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745); che nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita (ragion per cui si deve necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile) ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
Alla stregua dei suddetti principi non può che rilevarsi che la congiunta lettura di entrambe le sentenze di merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili dalla Corte regolatrice.
In particolare, entrambi i giudici di merito hanno con motivazione adeguata ritenuto che l’odierno imputato, nella contestata qualità, aveva omesso di adottare, in violazione dell’art. 12 del d. P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, durante i lavori di splateamento e sbancamento con l’utilizzo dell’escavatore, le prescrizioni in detto articolo previste. In particolare, detti lavori erano stati effettuati senza il consolidamento delle pareti di scavo con assi di calpestio di ponteggi e puntelli, senza l’utilizzo di blindo scavi (idonei a proteggere all’interno dello scavo stesso l’operatore dipendente M.C.), senza effettuare lo scavo con le pareti delle fronti di attacco con una inclinazione del terreno tale da impedire franamenti. Entrambi i giudici hanno con motivazione parimenti adeguata ritenuto indubbio che se le indicate e prescritte cautele fossero rispettate il terreno non si sarebbe staccato dal fronte dello scavo e il M. non sarebbe rimasto schiacciato contro la base delle prime fondamenta.
Quanto precede in linea con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, nel reato colposo, quale quello per cui si è proceduto, l’evento deve apparire come una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a pervenire.
Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato e che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, spese che vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che si liquidano in complessive euro 3.300,00 oltre accessori come per legge.
Così deciso il 26/02/2016

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