Cassazione Penale, Sez. 4, ud. 3 marzo 2016, n. 14770 – Infortunio mortale di un lavoratore caduto dal “trabattello” dallo stesso montato per eseguire i lavori di rimozione della carta da parati. Responsabilità di DL, preposto e CS
Fatto: 1 -Il 10 aprile 2008 si verificava un grave infortunio sul lavoro presso il cantiere allestito nel complesso monumentale San Michele in Fano, in occasione del quale B.G., dipendente della ditta C. 1979 Srl, mentre stava eseguendo lavori di rimozione della carta da parati in una stanza del palazzo, cadeva da un “trabattello” su cui era salito per raggiungere le parti alte delle pareti della stanza perdendo conoscenza (per poi decedere successivamente alcuni giorni dopo e, precisamente, il successivo 14 aprile, ad ore 8.30).
All’esito delle indagini, il P.M. chiedeva il rinvio a giudizio di S.S., coordinatore per la progettazione e per la sicurezza, DL.R., legale rappresentante della ditta C. 1979 srl e datore di lavoro dell’infortunato, N.M., preposto al cantiere di Fano, per avere cagionato per colpa – consistita in imprudenza, negligenza, imperizia e violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro – la morte del lavoratore B.G..
2.DL.R. e N.M. chiedevano di essere giudicati con rito abbreviato e la loro posizione veniva definita con sentenza di condanna pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare di Pesaro in data 8 novembre 2011, mentre la posizione di S.S. veniva definita con sentenza di condanna del Tribunale di Pesaro in data 25 luglio 2012.
2. La Corte di appello di Ancona – dopo aver riunito con ordinanza i distinti atti di appello proposti dagli imputati avverso le suddette sentenze – ad esito dell’udienza 13 novembre 2014 emetteva sentenza con la quale confermava entrambe le sentenze appellate.
3. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale proponevano ricorso per cassazione tutti e tre i suddetti imputati.
4.Il ricorso di DL.R. era affidato ad unico motivo di ricorso nel quale si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità sotto tre diversi profili.
In primo luogo, il ricorrente, che sottolineava di non contestare la (pur opinabile) ricostruzione fattuale della dinamica del sinistro, rilevava essere contraddittorio affermare, da un lato che il ponte su ruote usato dalla vittima era stato assemblato dalla stessa e, dall’altra, escludere che il lavoratore si era mosso e determinato in piena autonomia nell’iter di costruzione del trabatello, finendo così con il tenere una condotta abnorme. D’altro lato, non era affatto emerso che il B.G. abbia costruito il trabatello dal quale è caduto, su indicazione del datore di lavoro. In definitiva, il ricorrente contestava che entrambi i giudici di merito erano arrivati ad affermare la sussistenza del nesso causale senza svolgere la doverosa indagine sulla idoneità delle scelte proprie del B.G. di assumere valore di atti interruttivi la sequenza causale principale.
In secondo luogo, osservava che il principio in base al quale il datore di lavoro è titolare di una posizione di garanzia che impone l’adozione di tutte le misure di sicurezza, nonché la loro effettiva predisposizione ed il controllo delle osservanze delle stesse ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro deve essere interpretato alla luce della struttura dell’azienda C. 1979 srl ed alla effettiva dimensione operativa della stessa (che comportava lo svolgimento contemporaneo di più attività produttive in luoghi tra loro diversi e distanti e la impossibilità del datore di lavoro di essere presente sempre in tutti i cantieri). Inoltre dalle risultanze processuali non era affatto emerso che egli non aveva messo a disposizione del lavoratore un trabatello corrispondente a quanto indicato nel disegno del POS.
Infine, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che soltanto una delega espressa e formale sarebbe valsa a trasferire la responsabilità del datore di lavoro in capo ad altri. Al contrario, dal POS e dalla scrittura privata 8 maggio 2007 risulterebbe la prova di una delega espressa, scritta e legalmente efficace, in capo all’architetto M.G.G., direttore tecnico di cantiere per tutti i cantieri della C. srl, e dal coordinatore S.S., che aveva lo specifico compito di indicare ogni indispensabile accorgimento che consentiva di rendere il lavoratore edotto tempestivamente delle situazioni di pericolo sopravvenute D’altronde, sarebbe illogico prevedere in organico una serie di figure, ciascuna delle quali puramente ausiliaria e non sostitutiva del datore di lavoro in punto a responsabilità. La Corte territoriale sarebbe caduta in errore per non essersi resa conto della circostanza che rispetto alla posizione del DL.R. era stata creata una serie di figure di garanzia, idonee a manlevare il legale rappresentante da ogni responsabilità.
5.Il ricorso di N.M. era affidato a due motivi di doglianza.
5.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità.
Il ricorrente sottolineava che entrambi i giudici di merito non si erano posto il problema di raccogliere la prova del fatto che il lavoratore (alto cm 163 e con un peso stimato di circa 70/75 kg), operando su un piano di lavoro posto ad una altezza di metri 2,06 potesse raggiungere la sommità della stanza che misurava metri 4,70 senza alcun anomalo ausilio di una scala (in alluminio) con innesti estensibili. Aggiungeva che il principio di legalità impone all’interprete di riferire, in maniera tassativa, la violazione dell’art. 12 comma 3 d. lgvo n. 494/1996 ai datori di lavoro delle imprese appaltatrici (e non già ai preposti presenti sul cantiere). Quanto agli ulteriori due profili di colpa ex dpr n. 547/55, faceva presente che la formazione di fondo per rivestimenti interni non prevede alcun rischio specifico e che il lavoratore, all’atto deN’assemblaggio, se avesse rinvenuto delle deficienze nei dispositivi all’uopo necessari, nonché, altre eventuali condizioni di pericolo dell’apparato in costruzione, aveva l’obbligo di segnalare immediatamente la rischiosità al responsabile della sicurezza presente sul cantiere. Nella fattispecie l’infortunio si sarebbe verificato a causa delle viziate caratteristiche del ponte, al quale in maniera abnorme erano state inserite delle ruote prive di dispositivi di frenata, ruote che erano state fornite (non dal datore di lavoro, ma da altre imprese artigiane impegnate nell’intervento di restauro). Dunque, il presunto rapporto di causalità tra la condotta del capo cantiere e l’evento lesivo sarebbe stato escluso nei fatti da una causa autonoma successiva, quale la modifica di un originario ponte su cavalletti senza alcuna preventiva autorizzazione da parte dei responsabili della sicurezza sul cantiere.
5.2. Con il secondo si deduce vizio di motivazione in punto di trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente si duole che la corte territoriale: non abbia concesso le attenuanti generiche in misura prevalente alle contestate aggravanti (senza considerare l’integrale soddisfazione dalla ditta appaltatrice degli obblighi di cui all’art. 4 dPR n. 547/55 nel rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui erano esposti e nel portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione), così giungendo ad una pena equa e giusta. Tanto più che il B.G., di anni 63, assunto alle dipendenze della C. dal 1 maggio 2007 era un dipendente esperto, che aveva partecipato a tutti i corsi di aggiornamento promossi dall’azienda e che ben poteva ponderare tutte le conseguenze relative all’utilizzo di quell’apprestamento).
6.Il ricorso di S.S. (che nella parte iniziale riproduceva integralmente l’atto di appello al quale allegava la trascrizione del verbale di udienza 12 luglio 2012, comprensivo della deposizione dei testi Omissis, dell’esame dell’imputato, nonché dell’esame del perito G.R.E. e del consulente di parte S.G.) era affidato a tre motivi di ricorso.
6.1. Con il primo si deduceva violazione di legge degli artt. 40, 41, 589 c.p., art. 5 comma 1 lett. A) del d. lgvo n. 494/1996; violazione dell’art. 192 c.p.c. e vizio di motivazione.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva omesso una valutazione critica delle doglianze espresse in atto di appello e si era limitata a parafrasare la sentenza di primo grado. Inoltre la Corte aveva affermato che lui si sarebbe presentato in cantiere il giorno dell’infortunio alle ore 10, deducendolo dall’atto di appello (che sul punto è incorso in mero errore materiale, come si deduce dal contenuto del verbale di sopralluogo, che indica la presenza in cantiere ad ore 12, dalle dichiarazioni rese dall’interessato e dalle dichiarazioni rese dal teste M.S.). Inoltre era emerso dalle dichiarazioni rese dal perito Ing. G. che il preposto Claudio N.M. non gli aveva segnalato alcuna lavorazione in atto. D’altronde egli, essendo presente in cantiere alle ore 12, quando i lavoratori erano già in pausa pranzo, non poteva aver contezza dell’attività di lavoro del dipendente (che, si ribadisce, non gli era stata segnalata). Inoltre, l’infortunio si sarebbe verificato verso le ore 16-16.15, e cioè poco prima della chiamata ai Carabinieri, ma lui a quell’ora non era più presente in cantiere. L’ora dell’Infortunio si dovrebbe dedurre anche dalle dichiarazioni della teste DS.B., che lo colloca dopo le 14, verso le ore 15. Non vi sarebbe alcuna prova che il B.G., alle ore 11 abbia montato il trabatello ed alle ore 12 stesse lavorando usando quello strumento. In definitiva, lui non aveva visto quel trabatello montato e neppure poteva aver visto il B.G. al lavoro su quel trabatello.
6.2. Con il secondo si deduceva violazione degli artt. 41-43 c.p. e vizio di motivazione.
Il ricorrente rileva che non vi è norma che gli imponeva di chiedere al preposto di cantiere N.M. quale tipo di lavoro era in atto. Peraltro il cantiere era aperto da due anni e, dopo il superamento di alcune fasi critiche, l’andamento dei lavori era regolare. Egli non aveva l’obbligo di presenza costante nel cantiere. Per poter esercitare le sue funzioni di vigilanza, il coordinatore deve avere consapevolezza dell’attualità delle singole lavorazioni in atto, ma detta consapevolezza lui non aveva in relazione al contesto nel quale è avvenuto l’infortunio mortale (come emerso dall’esame del perito G.). Egli aveva vigilato come risultava dai numerosi verbali in atti e anche dai provvedimenti di sospensione dei lavori emessi.
Il ricorrente rileva ancora che l’accusa nulla aveva eccepito in punto al PSC delle varie imprese, che lui aveva esaminato, come si evince dal contenuto dei 24 verbali di ispezione prodotti. D’altronde la Corte territoriale aveva rilevato che i Piani Operativi di sicurezza erano tutti corretti, tanto è vero che gli viene contestato di non aver accertato la rispondenza del trabatello alla previsione del POS (sentenza impugnata, p. 12). Egli non avrebbe mai potuto prevedere che il giorno dell’infortunio il lavoratore lavorasse con attrezzi e strumenti irregolari e difformi rispetto a quelli previsti nel piano di sicurezza. _
6.3. Con il terzo si deduceva violazione degli artt. 132 e 133 c.p. e vizio di motivazione.
Il ricorrente evidenzia che tra le due sentenze di merito di primo grado non sono perfettamente sovrapponibili (in punto di soggetto che ebbe a montare il trabatello; in punto di corresponsabilità del lavoratore; in punto di ora in cui fu montato il trabatello): ma soprattutto sottolinea che in primo grado, per gli altri imputati, si era partiti da una pena base di mesi 9 mentre per lui si era partiti da una pena base di anni 2 e mesi 3, con la conseguenza che, essendo stata a lui applicata la pena finale di mesi 18 di reclusione e agli altri la pena finale di mesi 6, gli sarebbe stata irrogata una pena assolutamente sproporzionata.
Diritto: 1.1 ricorsi non sono fondati e, pertanto, non possono essere accolti.
2. Al fine di una migliore comprensione delle questioni di diritto sottoposte all’attenzione di questa Corte, in punto di fatto, giova premettere quanto segue.
2.1. A tutti gli odierni ricorrenti è stato contestato il reato di cui all’ art. 40, 41, 589 c.p. per aver cagionato, ciascuno con condotte indipendenti, per colpa, consistita in imprudenza negligenza imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, la morte di B.G., dipendente della C. 1979 s.r.l..
Secondo l’assunto accusatorio, cristallizzato nell’imputazione e ritenuto da entrambi i giudici di merito, è accaduto che B.G., dipendente della C. 1979 s.r.l., in Fano, il 10 aprile 2008, nel cantiere via Arco d’Augusto angolo via O. del Cassero e via Martino da Fano, mentre era intento ad effettuare lavori – consistiti nel bagnare la carta da parati esistente sulle pareti della stanza con un pennello ed acqua per poi rimuoverla con l’uso della cazzuola – stando su un ponteggio (piano di lavoro ad un’ altezza di m. 2,06) sprovvisto di parapetto, tavole fermapiede, sistemi di fissaggio delle ruote e di accesso e di ogni altra opera di sicurezza, era precipitato al suolo riportando lesioni gravissime, in conseguenza delle quali decedeva in Ancona il successivo 14 aprile, ad ore 8.30, come sopra rilevato.
Precisamente a DL.R., nella qualità di datore di lavoro legale rappresentante della ditta C. 1979 S.r.l., esecutrice dei lavori, è stato contestato di:
– aver omesso di assicurare che il ponte su ruote utilizzato dall’infortunato fosse montato sotto la sorveglianza di un preposto in violazione dell’ art. 17 del d.P.R. 164/56;
– aver omesso di redigere ovvero di far redigere un calcolo di resistenza e di stabilità del ponte su ruote utilizzato dall’infortunato, costituito da elementi di ponteggio fisso in cui non si prevedeva l’utilizzo degli elementi con l’inserimento di ruote, in violazione dell’ art. 36-quater c.l. del d.lgs. 626/94;
-aver omesso di provvedere alla redazione del PIMUS relativo al ponte su ruote in uso all’infortunato in violazione dell’ art. 36-quater c. 3 del d.lgs. 626/94;
-aver omesso di provvedere a che l’attrezzatura messa a disposizione dell’infortunato avesse dimensioni adeguate allo svolgimento del lavoro che doveva eseguire e il ponte su ruote fosse dotato di sistema di accesso idoneo, in violazione dell’ art. 35 c. 1 del d.lgs. 626/94;
-aver omesso di mettere a disposizione dei lavoratori il trabattello corrispondente a quanto indicato (disegno) nel POS, in violazione dell’ art. 12 c. 3 del d.lgs. 494/96;
-aver omesso di assicurarsi che l’infortunato ricevesse un addestramento adeguato e specifico circa il corretto uso delle scale e dei ponti su ruote in violazione dell’ art. 38 lett. b) del d. lgs. 626/94;
A N.M., preposto al cantiere, è stato contestato:
-di aver omesso di osservare quanto previsto nel PSC e nel POS, in quanto l’impalcato di lavoro del ponte su ruote utilizzato dall’infortunato non era provvisto di parapetto idoneo in violazione dell’ art. 12 c. 3 del d.lgs. 494/96;
-di aver omesso di disporre e pretendere che l’infortunato fissasse la tavola al ponteggio e non usasse per l’impalcato una tavola (gialla nello specifico) completamente bagnata e non fissata, e dunque inidonea, in violazione dell’ art. 4 lett. c) del d.P.R. 547/55;
– di aver omesso di disporre, pretendere ed assicurarsi che il trabattello venisse usato dall’infortunato con il bloccaggio delle ruote in violazione dell’ art. 52 c. 3 del d.P.R. 547/55.
Infine, a S.S., nella qualità di coordinatore per la progettazione e coordinatore per la sicurezza, è stato contestato di aver omesso di verificare con opportune azioni di controllo, l’applicazione, da parte della C. 1979 S.r.l. – esecutrice dei lavori, di quanto previsto nel PSC e nel POS in relazione ai ponti su ruote o trabattelli in uso alla stessa in violazione dell’ art. 5 c. 1 lett. a) del d.lgs. 494/96.
All’ imputato S.S. sono state contestate anche altre due imputazioni, a seguito di accertamento effettuato nel cantiere in data 12 maggio 2008. Precisamente:
b) il reato di cui all art. 5 c. 1 lett. a) del d.lgs. 494/96, per aver omesso, nella qualità di coordinatore per la progettazione e coordinatore per la sicurezza, di verificare, con opportune azioni di controllo, l’applicazione di quanto previsto nel PSC e nel POS della ditta C. 1979, in relazione ai ponti su ruote o trabattelli in uso presso il cantiere nel locale biblioteca e nel piano terra usati per la tinteggiatura delle travi; al ponteggio nel vano ascensore; al ponteggio per il trasporto del materiale; alla passerella sita al piano primo per la circolazione degli operai e per il trasporto del materiale;
c) il reato di cui all’ art. 4 comma 1 d.lgs. 494/96 per aver omesso, nella qualità di coordinatore per la progettazione e coordinatore per la sicurezza, di provvedere a che il piano per la sicurezza contenesse le misure generali da adottare contro il rischio di caduta dall’alto nei ponti su cavalletti aventi altezza inferiore a m. 2: nelle schede relative ad alcune fasi, con riguardo alle prescrizioni relative al ponte su ruote, era riportata la seguente insufficiente dicitura: “Essi non devono superare l’altezza di m. 2, altrimenti vanno dotati di parapetto perimetrale”, mancavano riferimenti specifici alla viabilità all’interno del cantiere ed alle passerelle per la circolazione degli operai e anche del materiale; non veniva considerato il rischio di svolgimento di lavorazioni singole in posti isolati, ai fini dell’organizzazione del pronto soccorso.
2.2. Ritornando poi su dati sopra sommariamente già indicati, si precisa che DL.R. e N.M., a seguito di richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M., avevano chiesto di essere giudicati con rito abbreviato (subordinato all’espletamento di una perizia ricostruttiva della dinamica del sinistro ed all’audizione della vedova in ordine ai rapporti tra il deceduto B.G. e la famiglia di origine). Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro ha ammesso il giudizio abbreviato condizionato all’espletamento della perizia (ma non all’audizione della vedova, in quanto l’oggetto dell’esame non riguardava né la ricostruzione dell’evento né l’individuazione delle responsabilità), affidandola all’Ing. G. (che, all’udienza del 4 novembre 2010 è stato autorizzato ad effettuare una ispezione dei luoghi ed a sentire sul posto due degli intervenuti del 118 e G.M., uno dei primi intervenuti a soccorso del povero B.G.). La posizione dei predetti due imputati è stata quindi definita con sentenza di condanna emessa dal predetto Gup in data 8 novembre 2011.
A detta udienza è stato anche emesso il decreto che dispone il giudizio a carico di S.S., che è stato poi giudicato con rito ordinario e, ad esito di istruzione dibattimentale, è stato condannato dal Tribunale di Pesaro con sentenza emessa in data 25 luglio 2012.
3. Tanto premesso, infondato è il terzo profilo di doglianza dell’imputato DL.R., laddove lo stesso si lamenta del fatto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che soltanto una delega espressa e formale può trasferire in capo ad altri le responsabilità che per legge gravavano sulla figura del datore di lavoro ed avrebbe erroneamente sottovalutato che, rispetto alla sua posizione, vi erano altre figure idonee a manlevarlo da ogni responsabilità.
Al riguardo, occorre ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo precisato che gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro, a condizione che l’atto di delega sia espresso, inequivoco e certo, investa persona tecnicamente capace, dotata cioè delle necessarie cognizioni tecniche, nonché dei relativi poteri decisionali e di intervento (anche di spesa), sia specificamente accettato.
E di recente le Sezioni Unite (cfr. sent. n. 38343 del 24704/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261108) hanno statuito che, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del D.Lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa.
Nell’occasione le Sezioni Unite hanno precisato che la delega, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l’altro, come l’art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza “alta”, che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all’ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perché non sa, perché non può, perché non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri.
Orbene, la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, ha fatto buon governo dei suddetti principi laddove – dopo aver ricordato che, ai fini del trasferimento in capo al preposto degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, occorre che vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro, e di una particolare specifica competenza del preposto – ha ritenuto la situazione non riscontrabile nel caso di specie, né con riferimento all’architetto G., già Direttore Tecnico dell’Impresa, né con riferimento al coimputato N.M., preposto al cantiere, né al coimputato S.S., Coordinatore per la sicurezza.
In particolare, il Giudice di appello ha osservato:
-quanto all’architetto G., che: a) l’incarico di direttore dei cantieri era stato conferito senza alcuna specifica assegnazione di compiti in materia di sicurezza; b) nella nota del 14 aprile 2008 l’arch. G. aveva precisato che la funzione di direttore tecnico era riferita a “garantire” che fossero osservate le normative tecniche in materia di costruzione; c) nel POS all’arch. G. in qualità di direttore tecnico di cantiere era stato affidato il compito dell’attuazione del piano di sicurezza fisica dei lavoratori in relazione alla previsione dell’art. 18 della legge 19.03.1990 n.55, con poteri disciplinari in caso di inosservanza (e quindi non fungibili con gli obblighi direttamente spettanti al datore di lavoro);
-quanto al coimputato N.M.: a) nel POS a quest’ultimo erano stati affidati compiti, analiticamente ivi descritti, di controllo e coordinamento, che si aggiungevano e non escludevano la concorrente responsabilità del datore di lavoro in relazione agli specifici obblighi allo stesso spettanti (e cioè: di mettere a disposizione del lavoratore un trabattello adeguato al lavoro da svolgere; di attuare le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature da parte del lavoratore o per impedire che dette attrezzature venissero utilizzate per operazioni per le quali non sono adatte; di prevedere l’installazione di dispositivi di protezione contro le cadute trattandosi di uso di attrezzature per lavori in quota); b) il preposto ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti; c) la previsione di soggetti che si frappongono tra il l.r. della società e i dipendenti, non si pone come fattore di esclusione della responsabilità del datore di lavoro in relazione agli obblighi di garanzia a lui direttamente spettanti, poiché tali figure ad esso si affiancano al fine di assicurare la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori con funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro;
-quanto infine al coimputato S.S., Coordinatore per la sicurezza: gli obblighi di protezione gravanti su detta figura non si sovrappongono a quelli ora indicati facenti esclusivo capo al datore di lavoro, ragione per cui la presenza di un Coordinatore per la sicurezza non è di per sè sufficiente ad escludere l’addebitabilità dell’evento lesivo a titolo di colpa a carico del DL.R..
La suddetta motivazione, in quanto congrua ed immune da vizi logici e giuridici, è incensurabile nella presente sede di legittimità, nella quale è preclusa una rivisitazioni delle valutazioni di merito. In particolare, questa Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che il Coordinatore per la sicurezza ha, non soltanto il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, ma anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 27442 del 04/06/2008, Garbacelo, Rv. 240961; Sez. 4, n. 32142 del 14/06/2011, Goggi, Rv. 251177). Egli, dunque, è titolare di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 38002 del 09/07/2008, Abbate, Rv. 241217; Sez. 4, n. 18472 del 04/03/2008, Bongiascia, Rv. 240393), e comprende, non solo l’Istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte, nonché, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Sez. 4, n.46820 del 26/10/2011, Di Gloria, Rv. 252139).
4. Infondati sono gli ulteriori profili di doglianza contenuti nel ricorso di DL.R. (affidato ad un unico motivo), il primo motivo di ricorso di N.M. ed i primi due motivi di ricorso di S.S., che qui si esaminano congiuntamenti, in quanto tutti relativi al giudizio di affermazione di penale responsabilità degli imputati.
5. La disamina dei suddetti profili e motivi suggerisce una triplice comune premessa: in punto di individuazione dei soggetti che, in materia antinfortunistica, assumono il ruolo di garante dell’incolumità fisica del prestatore di lavoro; in punto di nesso di causalità tra il sinistro e le infrazioni della disciplina antinfortunistica; nonché in punto di idoneità delle eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato ad interrompere, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p., il nesso di causalità sussistente tra l’omissione colposa di uno o più garanti e l’evento mortale che ne è derivato.
5.1. Sotto il primo profilo, si rileva che il legislatore, tenuto conto della complessità dei processi produttivi moderni, che sempre più coinvolge un numero ampio di imprese, ha di recente rivisitato la materia relativa al contratto di appalto, che, passando dalla disciplina originariamente prevista dagli artt. 4 e 5 del d.P.R. n. 547/1995, ha trovato una sua prima regolamentazione nell’art. 7 del d. lgs. n. 626/1994, per poi giungere alla elaborazione del complesso normativo di cui al d. lgs. n. 494/96, oggi sostanzialmente trasfuso nel d. lgs. n. 81/08.
In relazione a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza trova il suo referente, in primo luogo, nell’appaltatore, cioè nel soggetto che si obbliga verso il committente a compiere l’opera appaltata, con propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio: l’appaltatore, invero, quale datore di lavoro, è il primo destinatario delle disposizioni antinfortunistiche.
Ma nell’articolata disciplina posta da detto ultimo decreto, sono previste specifiche figure alle quali vengono affidati precisi compiti con connesse responsabilità. Le ragioni della introduzione di tale articolata disciplina risiedono non soltanto nella constatazione che i cantieri edili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevanti, ma anche nell’esigenza che, all’atto della realizzazione di una opera, vi sia un coordinamento tra le varie imprese, chiamata a realizzarla.
In particolare, il d.lgs. 14 agosto 1996 n. 494 prima, e il T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81), ora, hanno effettuato e confermato una scelta di campo: il committente resta coinvolto nell’attuazione delle misure di sicurezza. Chiara la ratio: il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti e costruzioni, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti. Quanto precede si è tradotto nella previsione di tutta una serie di obblighi in capo al committente, cristallizzati nell’art 90 del T.U., che tra l’altro prevede la nomina (alla presenza delle ulteriori condizioni previste dalla legge) del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l’esecuzione nel caso di presenza di più imprese esecutrici; la verifica dell’idoneità tecnico professionale delle imprese affidatarie ed esecutrici.
Con riferimento poi all’esecuzione di lavori in subappalto all’Interno di un unico cantiere edile predisposto dall’appaltatore, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il principio in base al quale gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, grava non soltanto sull’appaltatore, ma anche su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all’esecuzione di un’opera parziale e specialistica (Sez. 4, sent. n. 42477 del 16/07/2009, Cornelli, Rv 245786).
D’altra parte è stato precisato che, in tema di infortuni sul lavoro, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di “alta vigilanza”, consistenti: a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori; b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento; c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS (Sez. 4, sent. n. 44977 del 12/06/2013, Lorenzi, Rv. 257167).
In generale, dalla sopra richiamata disciplina normativa (e in particolare dall’art. 26 del d.lgs 9 aprile 2008, n. 81) si desume il principio, secondo il quale, in caso di contemporanea presenza di più imprese all’interno di un medesimo cantiere edile, tutti i soggetti titolari di una posizione di garanzia hanno il dovere di cooperare all’attuazione di misure di prevenzione e protezione dei rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto di appalto, informandosi, reciprocamente, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese, coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
5.2. Quanto poi al profilo causale, è indubbio che l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatismo rispetto all’addebito di responsabilità e si impone la verifica, in concreto, della violazione da parte di ciascun imputato non solo della regola cautelare (generica o specifica), ma, soprattutto nel caso di specie, della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd. “concretizzazione” del rischio).
La personalità della responsabilità penale, cioè, impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (circostanza questa che si risolve nell’accertamento della sussistenza del nesso causale) e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare sia essa generica o specifica, ma anche se l’autore della stessa potesse prevedere, con giudizio “ex ante” quello specifico sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.
In tale ambito ricostruttivo, la violazione della regola cautelare e la sussistenza del nesso di condizionamento tra la condotta e l’evento non sono sufficienti per fondare l’affermazione di responsabilità, giacché occorre anche chiedersi, necessariamente, se l’evento derivatone rappresenti o no la “concretizzazione” del rischio, che la regola stessa mirava a prevenire; e se l’evento dannoso fosse o meno prevedibile, da parte dell’imputato (Sez. 4, n. 43966 del 06/11/2009, Morelli, Rv. 245526).
Come è noto, infatti, la prevedibilità ed evitabilità del fatto svolgono un articolato ruolo fondante: sono all’origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale. In particolare, per quel che qui maggiormente interessa, l’art. 43 c.p. reca una formula ricca di significato: il delitto è colposo quando l’evento non è voluto e “si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia…”. Viene così chiaramente messo in luce il profilo causale della colpa, che si estrinseca in diverse direzioni.
Il pensiero giuridico italiano ha da sempre sottolineato che la responsabilità colposa non si estende a tutti gli eventi che comunque siano derivati dalla violazione della norma, ma è limitata ai risultati che la norma stessa mira a prevenire. Tale esigenza conferma l’importante ruolo della prevedibilità e prevenibilità nell’individuazione delle norme cautelari alla cui stregua va compiuto il giudizio ai fini della configurazione del profilo oggettivo della colpa. Si tratta di identificare una norma specifica, avente natura cautelare, posta a presidio della verificazione di un altrettanto specifico evento, sulla base delle conoscenze che all’epoca della creazione della regola consentivano di porre la relazione causale tra condotte e risultati temuti; e di identificare misure atte a scongiurare o attenuare il rischio. L’accadimento verificatosi deve cioè essere proprio tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire “la concretizzazione del rischio”.
5.3. Quanto infine alla rilevanza delle eventuali condotte negligenti riferibili al dipendente infortunato, occorre osservare che, in tema di cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’offesa, consolidata giurisprudenza di legittimità ritiene che possano considerarsi tali quelle che diano luogo a una serie causale, sebbene non del tutto autonoma rispetto a quella riferibile all’agente, che si atteggi in termini di assoluta anomalia, eccezionalità e imprevedibilità (Sez. 4, sent. n. 13939 del 30/01/2008, Bauwens, Rv. 239593).
In particolare, è stato chiarito (Sez. 4, sent. n. 7267 del 10/11/2009, 2010, Iglina, Rv. 246695) che la condotta colposa del lavoratore infortunato non esclude la responsabilità dell’imprenditore, poiché il datore di lavoro è destinatario delle norme antinfortunistiche proprio per evitare che il dipendente compia scelte irrazionali che, se effettuate, possano pregiudicarne l’integrità psico-fisica: l’imprenditore è esonerato da responsabilità soltanto nel caso in cui il comportamento del dipendente sia eccezionale, imprevedibile, tale da non essere preventivamente immaginabile (e non anche nel caso in cui l’irrazionalità della condotta del dipendente sia controllabile, pensabile in anticipo, risolvendosi nel fare proprio il contrario di quello che si dovrebbe fare per non incorrere in infortuni).
Con particolare riferimento alla sicurezza sul luogo di lavoro, la giurisprudenza di legittimità ritiene che presenti efficacia interruttiva del rapporto causale esistente tra la condotta antidoverosa del datore di lavoro e l’offesa soltanto il comportamento abnorme del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Sez. 4, sent. N. n. 14440 del 05/03/2009, Ferraro, Rv. 243881).
In tale senso è abnorme soltanto la condotta del dipendente infortunato che esuli dai limiti delle attribuzioni proprie del segmento di lavoro ad esso attribuito, non insistendo nell’area di rischio della lavorazione svolta.
In ogni caso, quand’anche sussista una condotta colposa del lavoratore, questa non potrà comunque spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti destinatari di obblighi di sicurezza che abbiano violato prescrizioni in materia antinfortunistica (Sez. 4, sent. n. 12115 del 03/06/1999, Grande, Rv. 214999), in quanto le disposizioni prevenzionistiche hanno la funzione primaria di eliminare o almeno ridurre i rischi per l’incolumità fisica dei lavoratori intrinsecamente connaturati ai processi produttivi dell’attività di impresa, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi derivino da condotte colpose dei prestatori di lavoro.
6. Tanto premesso, occorre rilevare che la congiunta lettura delle tre sentenze di merito – che, concordando nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, valgono a saldarsi in un unico complesso corpo argomentativo (cfr. Cass., Sez. 1, n. 8868/2000, Sangiorgi, Rv. 216906) – evidenzia che i giudici di merito hanno sviluppato un conferente percorso argomentativo, relativo all’apprezzamento del compendio probatorio, che risulta immune da censure rilevabili da questa Corte regolatrice.
7. In punto di ricostruzione del fatto, occorre partire da quanto ritenuto dal Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Pesaro, nella sentenza emessa in data 8 novembre 2011 ad esito di giudizio abbreviato nei confronti degli imputati DL.R. e N.M., nonché da quanto ritenuto dal Tribunale di Pesaro, nella sentenza emessa in data 25 luglio 2012 ad esito di giudizio ordinario nei confronti dell’imputato S.S.; per poi passare ad esaminare quanto affermato dalla Corte di appello, nella sentenza emessa in data 13 novembre 2014 nei confronti di tutte i tre i suddetti imputati.
7.1. Il Gup del Tribunale di Pesaro, nella sentenza 8 novembre 2011, dopo aver descritto lo svolgimento delle indagini e dopo aver osservato che la ricostruzione non era particolarmente agevole (sia perché il B.G. lavorava da solo nella stanza e nessuno aveva assistito all’evento; sia perché vi erano stati palesi tentativi di inquinamento dello stato dei luoghi; sia infine perché erano state riferite versioni diverse ed anche contraddittorie riguardo alla esatta posizione del corpo dell’infortunato, del trabattello e della scala), ha indicato i seguenti punti fermi, esaminando anche le ipotesi alternative prospettate dalla difesa.
In primo luogo, ha richiamato le dichiarazioni rese dall’imputato N.M. nell’immediatezza dei fatti: da tali dichiarazioni emergeva che il B.G., avendo finito di “dare il mordente a dei travi in legno” era stato incaricato dal capo cantiere N.M. di andare a togliere la carta da parati nell’unica stanza ove era applicata (“L’ho mandato a togliere la carta dal muro dell’unica stanza in cui è presente”); erano circa le ore 10,00 del mattino e per l’esecuzione del lavoro il B.G. avrebbe dovuto utilizzare la scala ed un trabattello che stava smontato in una altra stanza e che avrebbe dovuto montare nella stanza interessata, cosa che è stata fatta.
Al momento della caduta, il B.G. aveva quasi totalmente tolto la carta dalla parete di fronte alle finestre ed aveva bagnato quella rimasta sulla stessa parete, verso l’angolo destro per chi la guarda, e parte della carta nella parete confinante, perpendicolare a quella delle finestre.
La posizione della testa del B.G. era ben individuabile, perché si trovava sostanzialmente al centro della macchia di sangue ed il centro di questa era a m. 1,65 dalla parete in gran parte liberata dalla carta ed a cm. 85 dalla parete perpendicolare a quella delle finestre, che presentava la carta in parte bagnata.
Il corpo si presentava sul fianco destro (così il G.) ed era un pò rannicchiato, ma non era certa la posizione delle gambe (se queste fossero verso la parete con le finestre oppure verso quella in cui la carta era stata già in gran parte tolta o verso la parete con la carta bagnata), perché le dichiarazioni erano state divergenti (lo stesso G. aveva dato indicazioni diverse e, se il ferito gli dava le spalle, si sarebbe dovuto trovare con i piedi verso la parete opposta a quella con la carta bagnata; secondo i medici sarebbe stato con la posizione invertita e cioè con i piedi verso la parete con la carta bagnata; secondo il F., al quale era stata mostrata la foto di cui al f.399, aveva le gambe verso la parete in gran parte pulita). Sulla posizione del corpo le altre persone sentite non avevano detto nulla ed il primo che, secondo i Carabinieri, era intervenuto ed aveva subito avvisato il capocantiere (tale L.), non era mai stato sentito.
Analoghe considerazioni andavano fatte per la posizione del trabattello, che, nel ricordo delle varie persone era stato collocato in posizioni diverse e che, comunque, probabilmente era stato in qualche modo spostato dagli operai che erano intervenuti; i medici del 118, infatti, erano stati concordi nel riferire che, mentre stavano effettuando le operazioni di assistenza all’infortunato, vi erano degli operai che erano entrati nella stanza, che erano saliti sul trabattello e che avevano dei ferri e che cercavano di collocarli, tanto che i medici avevano loro gridato di non toccare nulla. Il teste Omissis e Omissis avevano riferito il 16.4.2008 all’ispettore del lavoro che, quando loro erano arrivati, i ferri di protezione sul trabattello non c’erano. Riscontro oggettivo era dato dal fatto che in alcune fotografie una delle protezioni in ferro sul lato lungo del trabattello non era agganciata (f. 396 e 406), mentre in altre risultava regolarmente agganciata (f. 397).
Vi era poi la questione della scala in materiale metallico, a libretto.
Il personale sanitario aveva riferito che la scala al momento dell’intervento nella stanza non c’era, in seguito il Omissis l’aveva vista in mano ad un operaio e poi il Omissis aveva sostenuto che la scala era appoggiata chiusa al muro; quando è giunto l’ispettore del Lavoro la scala si presentava aperta a libretto vicino alla parete.
Il Gup ha ritenuto che la scala al momento dell’infortunio non fosse presente, in quanto Omissis, sentito il 17 aprile, aveva riferito, fra le altre cose, che si trovava in una stanza, ove lavoravano da tre giorni, assieme a S.M. ed a due dipendenti della società C. che lavoravano con i cavalletti con le ruote; la scala a libretto zincata si trovava in quella stanza e veniva utilizzata dagli operai per salire sui cavalletti con le ruote (altri trabattelli); il B.G. era andato da loro per richiedere la scala a libretto, ma loro non gliela avevano data perché la utilizzavano per salire sul ponteggio.
Dunque: il personale sanitario ed in particolare il Omissis non aveva visto la scala; il N.M. aveva dichiarato che non ricordava dov’era la scala; gli altri operai o avevano riferito di non saper nulla della scala o avevano reso dichiarazioni contraddittorie (secondo il Omissis la scala era appoggiata chiusa al muro dove era stata tolta la carta, mentre secondo Omissis la scala era aperta a libretto vicino allo stesso muro).
Il Gup ha ritenuto la versione resa dal Omissis come la più attendibile: dovendo intervenire a soccorrere un infortunato grave che si trovava a terra con grande perdita di sangue, era del tutto verosimile che il medico avesse dato un’occhiata intorno anche per capire cosa era successo e, se la scala fosse stata davvero vicino al muro quasi pulito, i soccorritori l’avrebbero ben notata dovendo operare trovandosi quasi a contatto con la stessa; così come avevano notato che il trabattello era privo di parapetti avrebbero notato se, vicino a loro, vi era la scala; inoltre il Omissis (soggetto del tutto disinteressato, diversamente dagli operai) aveva riferito di aver visto un operaio nella stanza con la scala sottobraccio, sostanzialmente nello stesso lasso di tempo in cui gli operai avevano tentato di collocare i ferri parapetto sul trabattello.
Il Gup ha poi condiviso l’assunto, sostenuto dal perito G., che, se il B.G. si fosse trovato sopra la scala non a libretto ma tutta estesa per poter operare all’altezza di circa quattro metri (come sosteneva la difesa), sarebbe caduto più lontano dalla parete e, del tuffo verosimilmente, non essendo la scala assicurata in alcun modo, il B.G. l’avrebbe trascinata con sé nella caduta. A ciò, secondo quel Giudice, doveva aggiungersi che, anche nella non ritenuta ipotesi in cui il B.G. si fosse trovato sopra la scala aperta e fosse caduto, il fatto non avrebbe escluso la responsabilità degli imputati, in quanto l’uso della scala in tali condizioni, troppo verticale, priva di appoggio ed in mancanza di gomma antiscivolo e senza che vi fosse un’altra persona ad assistere, sarebbe stato comunque in violazione delle norme di sicurezza.
In definitiva, il Giudice dell’abbreviato ha ritenuto che il B.G. sia caduto dal trabattello; ciò sulla base degli accertamenti medici (che avevano concluso per una caduta dall’altezza di circa tre metri, dovendo sommarsi all’altezza del trabattello di m. 2,06 quella del B.G.), ma anche della mancanza dei più elementari sistemi di sicurezza: mancavano infatti i parapetti nei due lati corti, del tutto probabilmente anche nei lati lunghi, in considerazione delle dichiarazioni dei sanitari e delle risultanze della fotografia attestante che una delle stanghe in ferro non era inserita da entrambe le parti; mancavano le tavole fermapiede; mancava un sistema sicuro per salire (quale una scala interna alla struttura); non vi erano freni né cunei per fermare le ruote, cosicché qualunque movimento della persona poteva innescare un movimento ed un oscillazione dell’intera struttura “con effetto terremoto” come efficacemente indicato dal perito; il piano di calpestio era costituto da una tavola metallica regolarmente agganciata alla struttura e da una tavola in legno verniciata, di 3 centimetri più alta dell’altra, così da costituire facilissimo motivo di inciampo, ed inoltre completamente bagnata e dunque scivolosa e resa ancor più viscida dalla presenza di pezzi di carta tolta dal muro, bagnata e impregnata di colla; agli accertamenti peritali era risultato che la scivolosità della tavola di legno con sopra la carta era tale che neppure le scarpe antifortunistiche indossate dal B.G. potevano garantire dal rischio di scivolare.
Il Giudice del rito abbreviato ha anche considerato l’ipotesi che, in relazione all’altezza del trabattello (m. 2,06) ed all’altezza del B.G., questi, neppure con il braccio esteso sarebbe arrivato a lavorare sulla parte più alta della carta, posta ad oltre 4 metri da terra; e che quindi il B.G. si sia arrampicato sulla scala estesa.
Tuttavia, al riguardo ha rilevato: in primo luogo che al momento del fatto era risultata bagnata la parete che aveva ancora la carta per un tratto di circa un metro di larghezza, nonché la parete adiacente nella parte più vicina all’angolo; poiché la tavola di legno era tutta bagnata è probabile che al momento della caduta il B.G. stesse spruzzando l’acqua per bagnare la carta (e, dunque, non stesse cercando di toglierla); inoltre nel secondo sopraluogo la C. aveva rinvenuto a terra, in mezzo ai residui di carta, anche uno spazzolone (f. 424). Non vi era dunque alcun motivo perché il B.G., anziché operare sul trabattello eventualmente usando lo spazzolone, dovesse estendere la scala in tutta la sua lunghezza e salirvi sopra correndo ancora maggiori rischi.
Dunque, secondo il Gup, quando il B.G. ha perso l’equilibrio ed è caduto, si trovava sul trabattello e la mancanza delle più elementari misure di sicurezza aveva contribuito alla perdita di equilibrio ed alla caduta.
7.2. D’altra parte, il Tribunale di Pesaro, nella sentenza 25 luglio 2012, dopo aver indicato che l’istruzione dibattimentale si era svolta con la partecipazione dell’imputato e dei congiunti del deceduto costituiti parte civile, ha dapprima analiticamente indicato tutte le acquisite risultanze processuali e, in particolare, -la deposizione di C. (funzionaria dell’Asur Fano addetta all’unità di prevenzione degli infortuni sui lavoro), di Omissis (Maresciallo dei Carabinieri di Fano), di Omissis (infermiera) e di Omissis (autista di ambulanza).
-l’esame dell’imputato, che aveva dichiarato di aver rispettato tutti gli obblighi di legge in particolare eseguendo periodiche ispezioni sul cantiere, peraltro molto esteso, e di non aver mai riscontrato l’utilizzo da parte della ditta C. di impalcature, trabattelli o ponteggi non idonei a garantire la sicurezza dei lavoratori (così avvalorando la tesi secondo cui la struttura su cui si trovava il B.G. era stata realizzata in poche ore direttamente nella sala dagli operai della C. su autonoma loro iniziativa ed a sua insaputa);
-la deposizione del perito Ing. R. G. e del restauratore G. S.;
-le prove documentali acquisite (la relazione scritta del Dr. T. sui risultati dell’autopsia datata 11.8.2008 con fascicolo fotografico; il verbale di constatazione di decesso di G. B.G. avvenuto ad Ancona il 14.4.2008 presso gli ospedali riuniti; il verbale di ispezione sul cantiere effettuato l’8.5.2008 da addetti al servizio di prevenzione infortuni della Asur 3 Marche; 24 documenti, prodotti dalla difesa dell’imputato all’udienza 12/7/2012, concernenti le attività svolte dal S.S. sul cantiere di Palazzo San Michele nella sua qualità di coordinatore per la sicurezza dal 2006 sino al 10 aprile 2008).
Quindi, il Tribunale, sulla base delle suddette risultanze processuali, orali e documentali, ha ritenuto provato che:
-il decesso del B.G. era avvenuto per la caduta da uno pseudo trabattello all’interno del cantiere ad altezza superiore a 2 metri che serviva per togliere la carta da parati della sala da ristrutturare;
-la ipotesi di una caduta dalla scala era contraddetta dalla presenza di infrazioni costali e vertebrali evocative di un urto intermedio prima del suolo;
-la struttura (verosimilmente realizzata sul posto dalla ditta C.) non aveva un piano di calpestio sicuro (perché questo era composto da tavole in ferro e legno non fissate, di cui una bagnata e scivolosa, era privo di parapetto, era montato su ruote senza fermi o freni);
-la scala trovata nei pressi del tipo a libretto non consentiva di salire in sicurezza sul trabattello;
-nei verbali di sopralluogo redatti in occasione delle ispezioni sul cantiere dall’imputato S.S., coordinatore per la esecuzione in sicurezza dei lavori, non risultavano constatazioni in ordine a tali strumenti ed neppure prescrizioni di adeguamento;
-dalla deposizione della teste C., corroborate dagli addetti alla ambulanza del servizio 118, era emerso che, in occasione dei primi soccorsi, qualcuno stava armeggiando sull’impalcatura improvvisata verosimilmente per mutarne l’aspetto (elemento questo che rafforzava il già granitico quadro di inidoneità totale dell’attrezzo).
7.3. La Corte di appello di Ancona, nella impugnata sentenza 13 novembre 2014 – dopo aver rilevato che, nelle sentenze di entrambi i giudici di merito, l’accertamento della penale responsabilità degli imputati era conseguenza di una corretta e condivisibile valutazione delle risultanze probatorie, esposte con motivazioni del tutto prive di vizi logici e giuridici – ha ritenuto che:
-il lavoratore era caduto dal “trabattello”, che la mattina stessa aveva provveduto personalmente a montare per eseguire i lavori di rimozione della carta da parati in una delle stanze del cantiere, compito affidatogli dal preposto N.M. il giorno stesso verso le ore 10,00;
-l’altezza complessiva da cui è precipitato il B.G. è compatibile con la gravità del trauma cranico;
– il ponte su ruote utilizzato dal B.G. al momento dell’Infortunio era: a) privo di parapetti almeno sui due lati corti (mentre risulta che durante i soccorsi alcuni operai siano saliti sul ponteggio per sistemare alcuni ferri sui lati lunghi); b) privo di tavole fermapiede; c) aveva piano di calpestio, posto all’altezza di mt.2,06 e costituito da tavole di diversi materiali con un dislivello di 3 cm., che costituiva inevitabile inciampo; d) aveva alla base installate ruote prive di cunei o altri meccanismi di blocco tale da rendere la struttura estremamente instabile e pericolosa;
-indubbio era il nesso dì derivazione causale tra specifiche inadempienza addebitabili agli imputati ed evento, che, per contro, sarebbe stato evitato ove fossero adottate le corrispondenti azioni imposte dall’osservanza della normativa antinfortunistica esigibili dagli imputati in relazione alla posizione di garanzia agli stessi riconducibile.
La Corte territoriale ha ritenuto destituito di fondamento:
-l’assunto che il B.G. sia caduto dalla scala, in quanto: a) contrastava con il dato obiettivo delle lesioni costali e vertebrali che attestavano un urto intermedio durante la caduta; b) non vi era prova che la scala fosse presente nella stanza al momento del fatto, non essendo stata notata dal personale del 118 intervenuto per i primi soccorsi, durante i quali intervenivano operai che salivano sul trabattello nel tentativo di alterare lo stato dei luoghi inserendo barre laterali al ponteggio, in tale attività immediatamente richiamati dal personale sanitario;
-l’assunto che il B.G. sia caduto a seguito di malore (e non per perdita di equilibrio o scivolamento), in quanto: a) di tale circostanza non vi era prova certa; b) in ogni caso, un eventuale malore non escludeva ex ante l’obbligo di predisporre tutte le opportune protezioni e precauzioni affinché il lavoratore fosse messo in condizioni di lavorare in sicurezza; c) la morte era certamente intervenuta in conseguenza del grave trauma cranico anche ove la caduta fosse stata provocata da malore; d) la predisposizione di misure di protezione necessarie avrebbe evitato l’evento mortale anche in caso di caduta a seguito di malore;
-l’assunto secondo il quale il B.G. sia caduto esclusivamente a causa della sua condotta abnorme (e cioè per il fatto di aver predisposto ed utilizzato una struttura pericolosa); ciò in quanto era evidente che il montaggio dell’impalcato era avvenuto utilizzando materiali presenti in cantiere e messi a disposizione dal datore di lavoro (con riferimento alle ruote prive dei fermi di marca diversa dall’impalcatura) non essendo ipotizzabile che il lavoratore abbia inserito componenti detenuti nella sua personale disponibilità.
7.4. La ricostruzione del fatto – concordemente operata dai due giudici di merito di primo grado e dalla Corte territoriale con motivazione non contraddittoria e non manifestamente illogica – non può essere rivisitata da questa Corte, alla quale è precluso il controllo delle risultanze processuali al fine di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (in tal senso, tra le tante, Sez. 3, sent. n. 4115 del 27.11.1995, 1996, Beyzaku, Rv. 203272). La Corte di cassazione, nel momento del controllo di legittimità, non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, sent. n. 1004 del 30/11/1999, 2000, Moro, Rv. 215745). D’altronde, nessuna prova ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; ed il significato delle prove lo deve stabilire il giudice del merito, non potendosi il giudice di legittimità sostituirsi ad esso (Sez. 5, Sent. n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006, Rv. 233464).
8. Avuto riguardo alla ricostruzione dei fatti che precede – e ribadito che il trabattello da cui è precipitato il B.G. non era conforme alle previsioni del POS e che il B.G., operando su un piano di calpestio posto a metri 2,06 da terra (questa era l’altezza del trabatello), doveva arrivare a lavorare sulla parte più alta di una stanza, ad oltre 4 metri da terra – non si ravvisa la sussistenza di nessuno dei vizi denunciati nei motivi in esame.
Innanzitutto, la Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha affermato che nel caso di specie non era ravvisabile alcun comportamento abnorme del lavoratore deceduto, idoneo ad escludere il nesso causale tra omesso rispetto della normativa antinfortunistica ed evento, poiché il B.G. aveva utilizzato per montare il trabattello materiali presenti in cantiere e messi a disposizione dal datore di lavoro e comunque la sua condotta non poteva ritenersi imprevedibile ed eccezionale.
Quindi – con motivazione parimenti immune da vizi logici e giuridici – la Corte ha ritenuto la responsabilità degli imputati per le violazioni analiticamente contestate nell’imputazione ed in particolare:
a) del datore di lavoro DL.R.: per aver fornito al dipendente strumenti non conformi alle norme di sicurezza; per aver omesso di mettere a disposizione del lavoratore un trabattello corrispondente a quanto indicato (disegno) nel POS; per non aver effettuato il doveroso controllo sulla corrispondenza degli strumenti dallo stesso utilizzati ai dettami della normativa antinfortunistica;
b) del capo cantiere N.M.: per non aver vigilato che il B.G. utilizzasse un trabatello a norma, con piano di calpestio adatto e con ruote con freno o cunei adatti al bloccaggio e parapetti per evitare la caduta, nell’esecuzione dell’incarico che gli aveva affidato quella stessa mattina; per aver consentito che il trabattello fosse montato dal B.G. con materiale non adeguato e con una tavola in legno non fissata e più alta della tavola metallica; per non aver effettuato alcun controllo (né durante il montaggio né in seguito, a montaggio effettuato) e per non aver quindi interrotto la lavorazione;
c) del coordinatore per la sicurezza in fase progettuale e in fase esecutiva S.S.: per non aver vigilato sulla corretta osservanza da parte della impresa delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza in relazione ai ponti su ruote o trabatelli in uso alla stessa; e, per non essersi scrupolosamente informato, in occasione delle periodiche visite (ultima quella effettuata il giorno stesso dell’infortunio), sullo sviluppo delle opere in corso (Sez. 4, sent. n. 32142 del 14/06/2011, Goggi, Rv. 251177) controllando in ciascuna fase ed in specie per quelle in cui erano stati individuati specifici rischi, la predisposizione in modo adeguato delle necessarie misure di sicurezza, verificando specificamente, per ciascuna fase, l’effettiva realizzazione delle programmate misure di sicurezza, che erano risultate in concreto non approntate; a fronte dei suddetti rilievi sfuma la circostanza dell’ora nella quale era arrivato in cantiere (se ad ore 10 o ad ore 12), come pure sfuma la circostanza del fatto che, durante il suo sopralluogo, il trabatello per cui è processo fosse già stato montato o no (pur dovendosi dar atto che il N.M. aveva riferito di aver incaricato il B.G. di togliere la carta da parati nell’unica stanza ove la stessa era applicata il giorno dell’infortunio ad ore 10 circa; che, per il montaggio del trabatello, come riferito dall’Ispettrice C., sarà stata necessaria un’ora circa; e che, al momento dell’Infortunio, avvenuto ad ora imprecisata, ma comunque dopo la pausa pranzo, la vittima aveva già rimosso la carta da parati da una parete e stava iniziando la seconda, in cui aveva già provveduto a bagnare la carta da staccare).
In definitiva, rispetto a tutti gli imputati, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi di questa Corte, richiamati in premessa: rispetto a tutti gli imputati, invero, avuto riguardo alla configurazione complessiva della lavorazione, il verificarsi dell’infortunio ha costituito l’indubbia concretizzazione del rischio, alla cui prevenzione era preordinata la normativa dagli stessi rispettivamente violata.
9. Infine, infondati sono il secondo motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato N.M. ed il terzo motivo di ricorso presentato nell’interesse dell’imputato S.S., che vengono qui esaminati congiuntamente, in quanto entrambi relativi al trattamento sanzionatorio.
In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di legittimità non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, sent. n. 36382 del 22/09/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua”: cfr. Sez. 4, sent. n. 9120 del 4/08/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sez. 3, sent. n. 26908 del 16/06/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
La suddetta evenienza non ricorre nel caso di specie, nel quale:
-quanto a N.M. (al quale è stato contestato il reato di cui al capo A e che è stato giudicato in abbreviato, con conseguente diritto alla diminuzione connessa al rito), il Gup del Tribunale di Pesaro ha riconosciuto allo stesso le attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata aggravante, avuto riguardo alla di lui incensuratezza ed al concorso di colpa dell’infortunato; e la Corte territoriale ha confermato il giudizio di equivalenza delle circostanze, argomentando sulla pluralità delle violazioni contestate (da porsi tutte in diretto rapporto causale con l’evento) e sulla estrema gravità delle conseguenze che ne sono derivate;
-quanto a S.S. (al quale erano contestati i reati di cui ai capi A, B e C ed è stato giudicato in rito ordinario), il Tribunale di Pesaro ha messo in evidenza la gravità del fatto, ribadita dalla Corte territoriale laddove la stessa ha testualmente affermato che «la specifica competenza professionale e la concreta possibilità di verifica delle inosservanze al POS e alla normativa antinfortunistica, in relazione alla gravissimo conseguenze derivatane, connotano il profilo di rimprovero colposo di particolare gravità».
10. Per le ragioni che precedono i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti devono essere condannati,ciascuno,al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.