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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 marzo 2016, n. 12224 – Infortunio mortale durante i lavori di sostituzione di un telo serricolo. Mancanza di DPI e responsabilità di committente, datore di lavoro e RSPP

SentenzaFatto:
1. Con l’impugnata sentenza resa in data 25 giugno 2014 la Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza del Tribunale di Castrovillari del 22 febbraio 2012, appellata da C. Mario, C. Andrea e D. Lorenzo.
Questi erano stati tratti a giudizio e condannati alla pena ritenuta di giustizia per rispondere del reato di cui agli arti. 40 comma 2, 41, 589 commi 1 e 2 cod. pen. in danno di G.G.
2. Avverso tale decisione ricorrono con distinti atti:
2.1 C. Mario- che ha presentato anche “motivi aggiunti” a sostegno dell’impugnazione- deducendo la violazione degli artt. 606 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 429 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. ; la violazione dell’alt. 606 lett. e) in relazione agli artt. 192, 546 lett. e) cod. proc. pen.
2.2. C. Andrea deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 420 ter, 17 lett. c), 179, 486 n. 1 e 487 n. 3 e manifesta illogicità della motivazione; la nullità della sentenza per violazione dell’art. 604 comma cod. proc. pen.; la violazione degli artt. 606 lett. b) ed e) in relazione agli artt. 429 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. ; violazione di legge e difetto di motivazione in punto di esclusione del comportamento abnorme della vittima, violazione di legge in relazione agli artt. 40 cpv, 113 e 59 cod. pen., carenza di motivazione in relazione alla negata sussistenza della delega di funzioni; travisamento della prova, violazione di legge ed insufficiente motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di sospensione della provvisionale ed alla determinazione della pena;
2.3. D. Lorenzo lamentando violazione dei criteri legali di valutazione della prova e conseguente travisamento delle funzioni attribuite al RSPP dal d.lgs.vo 19 settembre 1994; la illogicità e carenza di motivazione nella ricostruzione del fatto.

Diritto:
3. Il G.G. si è infortunato mortalmente nel corso dei lavori di sostituzione di un telo serricolo presso l’azienda agricola BONSAI; avendo raggiunto la parte superiore della impalcatura metallica, senza ausilio di scale o ponteggi omologati e senza l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione e non potendo per tale motivo operare frontalmente al tubo avvolgitelo – come espressamente prescritto dalle istruzioni di montaggio e smontaggio della serra- era costretto a sporgersi in avanti per l’utilizzo di una chiave avvolgitelo che a causa di un improvviso cedimento effettuava uno scatto rotativo in senso antiorario attingendolo al capo e provocandogli gravi lesioni che ne causavano la morte.
Le imputazioni a carico degli odierni ricorrenti sono state elevate, quanto a C. Mario, per avere, in qualità di legale rappresentante dell’Azienda Agricola Bonsai nonché di committente dei lavori di sostituzione dei teli serricoli dell’azienda, omesso di controllare e verificare la corretta e puntuale esecuzione dei lavori appaltati a C. Andrea, con particolare riferimento al dovere di ottemperare agli obblighi specificamente previsti dalla vigente normativa in materia di salute e sicurezza. Quanto a C. Andrea, per aver, in qualità di titolare della Torre di Mezzo s.c. a r.L, appaltatrice dei lavori di sostituzione dei teli serricoli dell’Azienda agricola Bonsai ed assuntore degli obblighi previsti in materia di salute e sicurezza sul lavoro, nonché quale datore di lavoro di G.G. posto in essere una serie di omissioni, in violazione degli artt. 3, 21, 22 35, 37 e 38 D.lgvo 19.9.1994. Quanto a D. Lorenzo per avere, in qualità di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione della Torre di Mezzo omesso di segnalare a tutti i preposti i pericoli connessi alla effettuazione dei lavori di sostituzione dei teli senza l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione e senza il rispetto delle procedure indicate nel libro di istruzioni per il montaggio e lo smontaggio dei teli medesimi.
Tanto premesso in fatto, i ricorsi devono ritenersi infondati.
C. Mario deduce con un primo motivo la violazione dell’alt. 429 cod. proc. pen. per incompletezza del decreto di citazione a giudizio, privo delle contestazioni.
Il motivo così come proposto si appalesa del tutto aspecifico in relazione alle motivazioni a riguardo adottate dalla Corte territoriale che ha ritenuto – con costanti richiami alla giurisprudenza di questa Corte (v. in particolare Sez. 2, n. 16817 del 27/03/2008, Rv. 239757; Sez. 5, n. 28512 del 14/05/2014, Rv. 262508) che detta nullità fosse stata sanata per non essere stata dedotta entro il termine stabilito, a pena di decadenza, dall’art. 491, primo comma, dello stesso codice; poiché infatti la predetta omissione non attiene nè all’intervento dell’imputato nè alla sua assistenza o rappresentanza, la nullità che ne deriva non può ricomprendersi fra quelle di ordine generale, di cui all’art. 178, lett. c), bensì tra quelle relative, previste dall’art. 181 cod. proc. pen., con la conseguenza che deve essere eccepita – a pena di preclusione – subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti.
Nella specie non è in contestazione che la questione è stata sollevata dalle difese in primo grado soltanto al momento della discussione finale e quindi tardivamente.
Con un secondo motivo si sostiene l’illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità ed in particolare al ritenuto nesso causale ed alla posizione di garanzia dell’imputato. Va sottolineato a riguardo come la gravata sentenza ed ancor prima il giudice di primo grado abbiano ex professo affrontato l’impostazione difensiva secondo cui l’evento per cui è processo non si sarebbe verificato se la persona offesa avesse osservato puntualmente la procedura di sostituzione dei teli. Anche a voler tuttavia prescindere dalle considerazioni dei giudici di merito in ordine alla sussistenza di un concreto pericolo di infortunio anche e qualora fossero state eseguite le procedure corrette, resta il fatto che è stata acclarata nel caso di specie l’assoluta mancanza di qualsivoglia dispositivo di protezione individuale (quali quelli suggeriti dalle stesse istruzioni di montaggio : caschi, cinture di sicurezza, ecc.) che avrebbe sicuramente consentito, se non di azzerare qualsiasi conseguenza pregiudizievole, quanto meno di attenuarla. Né può ritenersi che il G.G. con il suo comportamento abbia dato luogo ad una causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità (o la sua interruzione come altrimenti si dice). Perché ciò avvenga, infatti, si deve trattare di un percorso causale ricollegato all’azione (od omissione) dell’agente ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. In particolare nel settore della prevenzione degli infortuni sul lavoro deve dunque considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro ed è stato più volte affermato, dalla giurisprudenza di questa medesima sezione, che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, 14 dicembre 1999 n. 3580, Bergamasco, Rv. 215686; 3 giugno 1999 n. 12115, Grande, Rv. 214999; 14 giugno 1996 n. 8676, leritano, Rv. 206012). Tenendo presenti questi principi è dunque da escludere che abbia queste caratteristiche di abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto. Anche ammesso che la condotta del lavoratore sia stata contraria ad una norma di prevenzione ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la sua condotta connotata da abnormità essendo, l’osservanza delle misure di prevenzione, finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore. Deve quindi ritenersi corretto l’argomentare dei giudici di merito i quali, attenendosi ai principi ricordati, hanno escluso l’abnormità della condotta del lavoratore infortunato. È infatti del tutto prevedibile, e avviene purtroppo frequentemente, che un lavoratore non utilizzi i mezzi di protezione individuale per le più svariate ragioni. Di qui l’obbligo di osservare le cautele ulteriori che possano consentire di ovviare alle disattenzioni e anche alle volontarie omissioni del lavoratore imprudente.
Quanto alla posizione di garanzia del ricorrente quale committente dei lavori, osserva il Collegio come la giurisprudenza di questa Corte abbia a riguardo precisato , in primis, che, in materia di infortuni sul lavoro in un cantiere il committente rimane il soggetto obbligato in via principale all’osservanza degli obblighi imposti in materia di sicurezza, D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, ex art. 6, come modificato dal D.Lgs. 19 novembre 1999 n. 528 (cfr. sez. 4, n. 1511 del 28.11.2013, Schiano Di Cola e altro, Rv. 259086; conf. sez. 3, n. 7209 del 25.1.2007, Bellini Rv. 235822; sez. 4, n. 23090 del 14.3.2008, Pm in proc. Scarfone Rv. 240377). Peraltro, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 cit., comma 3 prevede che incombe sul datore di lavoro committente promuovere la cooperazione e il coordinamento e che tale obbligo debba ritenersi escluso soltanto nel caso previsto dall’alt. 7 ricordato, comma 3, u.p. (che esclude l’obbligo per il datore di lavoro committente per i “rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”). L’esclusione, dunque, è prevista non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine. È stato più volte affermato che il committente in tali casi è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell’infortunio subito dal lavoratore qualora l’evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l’inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (cfr. sez. 4, n. 10608 del 4.12.2012, Bracci, Rv. 255282, fattispecie in tema di inizio dei lavori nonostante l’omesso allestimento di idoneo punteggio). E, ancora è stato ribadito che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine (così la già citata sez. 4, n. 1511 del 28.11.2013, Schiano Di Cola e altro, Rv. 259086.)
Con i motivi aggiunti C. Mario denuncia vizio motivazionale in relazione alla concessione della provvisionale.
Sul punto è sufficiente ricordare come sia costante, nella giurisprudenza di questa Corte, l’affermazione sia del principio per cui il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 5, n.5001 del 17/01/2007, Mearini, Rv. 236068), sia del principio per cui, in tema di provvisionale, la determinazione della somma assegnata è riservata insindacabilmente al giudice di merito, che non ha l’obbligo di espressa motivazione quando l’importo rientri nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 6, n.49877 del 11/11/2009, Blancaflor, Rv. 245701).
C. Andrea lamenta con un primo motivo violazione di legge per mancato accoglimento dell’istanza di rinvio dell’udienza del 25 giugno 2014 a causa di impedimento dell’imputato, impegnato nella stessa data in cinque processi penali a suo carico dinanzi al Tribunale di Cosenza. Osserva il Collegio: nella specie il richiesto rinvio non è stato concesso per non aver l’imputato adempiuto all’onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento.
La questione è astrattamente fondata alla stregua dell’orientamento di questa corte (Cass. n. 14207 del 19/2/2009, De Marco, Rv. 243575; n. 13619 del 30/01/2003, Lodigiani e altri, Rv. 224145) secondo il quale sussiste un impedimento assoluto dell’imputato a comparire nel giudizio diverso da quello in cui ha deciso di essere presente, purché la comunicazione dell’impedimento sia documentata e si rappresenti l’interesse a parteciparvi, senza dover necessariamente giustificare la scelta in favore dell’uno o dell’altro, con la conseguenza che il rigetto dell’istanza di rinvio dell’udienza configura una nullità assoluta a norma dell’alt. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 c.p.p., comma 1, (Cass. 14207/2009). Appare invece meno condivisibile, a questo collegio, l’esenzione dell’imputato, pure affermata dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dall’impugnante, dall’onere di tempestiva comunicazione dell’impedimento perché previsto espressamente soltanto per il difensore (Cass. 13619/2003). Tale approdo sembra frutto di un’interpretazione che sottovaluta la necessità di perseguire, anche nel caso di impedimento dell’imputato, lo scopo cui è preordinato il requisito della tempestività della comunicazione previsto per l’impedimento del difensore, e cioè da un lato consentire al giudice a cui è chiesto il rinvio di effettuare gli accertamenti eventualmente necessari, dall’altro rendere possibile che l’eventuale rinvio avvenga in tempo utile per evitare disagi alle altre parti o disfunzioni giudiziarie, ad esempio anticipando o posticipando l’udienza, effettuando l’utile controcitazione dei testi, fissando altro processo in quel ruolo di udienza (esigenze che Cass. 20693/2010 elenca con riferimento all’onere di tempestività della comunicazione dell’impedimento del difensore). L’interpretazione che esige la tempestività della comunicazione dell’impedimento anche dell’imputato, qui sostenuta, risulta in linea con i principi costituzionali della ragionevole durata dei processi e dell’efficienza della giurisdizione, che non tollerano la “perdita” ingiustificata di utili trattazioni di processi nei ruoli di udienza già fissati (Cass. 20693/2010), valevoli anche in caso di impedimento dell’imputato per la concomitante partecipazione ad altro processo a suo carico. A diversamente ritenere, l’ufficio giudiziario, le altre parti, i testimoni, i periti ed i consulenti rischierebbero di essere sostanzialmente ostaggio dell’imputato, legittimato a manifestare, anche soltanto il giorno dell’udienza, la sua scelta di presenziare ad altro giudizio, benché la pendenza di questo gli fosse da tempo nota. Del resto, acuta, per quanto non recentissima, giurisprudenza di questa corte non aveva mancato di osservare, proprio con riferimento al caso di citazione nella stessa data dinanzi a due giudici penali diversi, che poteva essere sintomatico di intento dilatorio dell’imputato il fatto che questi portasse a conoscenza del giudice il proprio impedimento tardivamente od in maniera incompleta, sottintendendo l’art. 486 c.p.p., comma 1, – ora art. 420 ter c.p.p., la tempestività e la completezza dell’assolvimento dell’onere di comunicazione di un impedimento legittimo (Cass. 11677 del 30/09/1997, Cardella, Rv. 209265; n- 6965 del 14/04/2000, Pascucci, 217675).
Con un secondo motivo di deduce la nullità della sentenza per omessa indicazione nel decreto che disponeva il giudizio delle condotte contestate. Si rinvia sul punto a quanto affermato in relazione ad analogo motivo proposto dal ricorrente C. Mario, come pure per i successivi motivi concernenti la pretesa abnormità della condotta del lavoratore deceduto e le questioni attinenti le statuizioni civili e la concessa provvisionale..
Con il quinto ed il sesto motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento al rigetto delle doglianze di esclusione della responsabilità del ricorrente, attesa l’esistenza nella specie della figura del preposto e del responsabile della sicurezza. Trattasi di questioni espressamente già affrontate nella gravata sentenza le cui argomentazioni appaiono del tutto corrette. Va peraltro osservato che costituisce principio del tutto consolidato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale primo responsabile della sicurezza, ha tanto l’obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche che quello di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (cfr. Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005,, Castellani ed altro, Rv. 231370).
Con un ulteriore motivo si deduce carenza di motivazione in ordine alla sussistenza della prova dell’avvenuto conferimento di apposita delega in materia di sicurezza al D.. Il motivo è inammissibile stante la sua assoluta specificità in relazione alla motivazione addotta dalla Corte territoriale che non ha assolutamente escluso la sussistenza di tale delega (pervenendo peraltro alla conferma dell’affermazione di penale responsabilità anche nei confronti del D.), precisando come gli oneri gravanti sul datore di lavoro non vengano meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Gli ulteriori motivi formulati, peraltro meramente reiterativi di doglianze già esaminate dalla Corte territoriale, attengono alla ricostruzione dell’infortunio e ad altre questioni di mero fatto nonché alla valutazione delle prove, aspetti questi non censurabili in questa sede.
Del tutto generiche appaiono poi le doglianze concernenti la dosimetria della pena, mentre non risulta essere stato proposto appello in ordine alla mancata concessione del beneficio della non menzione, peraltro non richiesto in primo grado.
Venendo infine al ricorso del D., nel rinviare per gli altri motivi a quanto in precedenza rappresentato in relazione alla posizione dei coimputati, va esaminata la questione concernente il ruolo da questi rivestito di Responsabile dei Servizi di Prevenzione e Protezione (RSPP). Sul punto va innanzitutto osservato che anche a voler prescindere dal contenuto della nota datata “2 aprile 2004” richiamata da entrambi i giudici di merito, lo stesso D. da un lato non contesta tale ruolo, ma solo l’esistenza di una delega formale in tal senso, dall’altro risulta in tale veste redattore e firmatario del “documento della sicurezza dell’Azienda Agricola Bonsai”, nonché della “Torre di Mezzo Service”. Quanto al ruolo ed ai connessi profili di responsabilità di tale figura, va osservato che Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012,Rv. 254094 ) svolge una delicata funzione di supporto informativo, valutativo e programmatico ma è priva di autonomia decisionale: esse, tuttavia coopera in un contesto che vede coinvolti diversi soggetti, con distinti ruoli e competenze.
Tale figura non è destinataria in prima persona di obblighi sanzionati penalmente; e svolge un ruolo non operativo, ma di mera consulenza. L’argomento non è tuttavia di per sé decisivo ai fini dell’esonero dalla responsabilità penale. In realtà, l’assenza di obblighi penalmente sanzionati si spiega agevolmente proprio per il fatto che il servizio è privo di un ruolo gestionale, decisionale. Tuttavia quel che importa è che il RSPP sia destinatario di obblighi giuridici; e non può esservi dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, egli assuma l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni che si sono viste.
D’altra parte, il ruolo svolto dal RSPP è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro e la sua attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito.
Il D., nella veste di RSPP, era astretto, come si è sopra esposto, all’obbligo giuridico di fornire attenta collaborazione al datore di lavoro individuando i rischi lavorativi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli.
La gravata sentenza ha chiarito con motivazione certamente non illogica come l’imputato abbia violato gli obblighi imposti dalla legge, omettendo la necessaria, doverosa attività di segnalazione e stimolo ai fini della rimozione dei rischi.
4. Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali..
Così deciso nella camera di consiglio del 12 giugno 2015

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