Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2016, n. 4519 – Demolizione di un fabbricato: infortunio mortale di un lavoratore rimasto ucciso sotto le macerie
Fatto
1. Con sentenza emessa in data 10 dicembre 2014, la Corte di Appello di Torino, 3 Sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino in data 28 ottobre 2008, riduceva a un anno di reclusione la pena inflitta a C.M. (confermando per il resto le statuizioni di primo grado) per il delitto p. e p. dall’art. 589, commi 1 e 2 cod.pen. (in relazione agli artt. 35 D.Lgs. 626/1994, 4 e 12 D.Lgs. 494/1996 e 71 e 72 D.P.R. 164/1956), commesso in Torino il 26 giugno 2003.
Oggetto del processo é un episodio nel quale E.D.M. (dipendente della I. s.n.c., impresa operante in regime di subappalto, di cui il C.M. era legale rappresentante) rimaneva ucciso nell’atto di compiere operazioni di demolizione di un fabbricato (denominato D19) a causa del cedimento della struttura portante dell’edificio e del conseguente crollo di macerie sulla persona dello stesso E.D.M..
Al C.M., quale datore di lavoro della vittima, é addebitato l’aver messo a disposizione del suo dipendente un escavatore dotato di un braccio di lunghezza inferiore a quella necessaria ad effettuare i lavori a distanza di sicurezza dal fabbricato in demolizione, e come tale inidoneo alle operazioni di demolizione suddette e ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori, e il non avere attuato tutte le misure tecniche e organizzative atte a impedire l’uso dell’escavatore in modo inadeguato.
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il C.M., per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso, corredato di una premessa (n. 1 dell’atto d’impugnazione), si articola in tre motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso (n. 2 dell’atto d’impugnazione) si denuncia la violazione di norme processuali in riferimento agli artt. 521 e 522 cod.proc.pen.: si duole in particolare il ricorrente che al C.M. era stato contestato di aver omesso di garantire al dipendente E.D.M., fornendogli un escavatore inadeguato, di poter eseguire i lavori di rimozione rifiuti affidati alla I. a distanza di sicurezza dal luogo ove altra ditta (la G.C., impresa appaltatrice) stava eseguendo la demolizione delle strutture portanti del fabbricato, come da obblighi contrattuali; a fronte di ciò, egli veniva condannato per avere assunto di fatto, sia pure limitatamente, l’esecuzione di una parte dei lavori di demolizione (diversi e più rischiosi rispetto a quelli di rimozione rifiuti) e per avere comunque tollerato che i suoi dipendenti eseguissero detti lavori, contrattualmente affidati ad altra ditta (la G.C.). In tal modo, prosegue il ricorrente, si sarebbe determinata tanto in primo grado che in appello una violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, con conseguente nullità della sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia il vizio di motivazione della sentenza emessa dalla Corte territoriale, consistito secondo il ricorrente nella carenza di argomenti posti a base della decisione di conferma della condanna, argomenti che la Corte di merito avrebbe recepito senza alcun sostanziale vaglio critico dalla sentenza di primo grado, sì da pervenire al convincimento che i lavori di demolizione assegnati alla G.C. fossero stati di fatto assunti in parte dalla I., attribuendo valore decisivo al fatto che le due imprese avevano piani di sicurezza identici e che nel cantiere erano presenti due mezzi, ed omettendo di valutare la possibilità di una lettura alternativa dei dati probatori; si duole in specie il ricorrente che non é stata valutata la circostanza che al momento dell’infortunio non erano, né potevano essere in corso lavori di demolizione, e contesta inoltre che la Corte territoriale, valutando come sostanzialmente omertoso il comportamento processuale dei dipendenti del C.M. chiamati a deporre, ha attribuito fondamentale importanza al teste L.Z., il quale al momento dell’Infortunio si trovava a casa della fidanzata, alla finestra, a una distanza di circa 400 metri, e ha riferito in aula circostanze a ben vedere non confermative dell’impianto accusatorio; lamenta poi il ricorrente che la Corte di merito non ha preso in considerazione le deposizioni del teste isp. C., del consulente Ca. e del coimputato S., idonee a porre in discussione la circostanza che al momento dell’evento fossero in corso lavori di demolizione.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti riconosciute rispetto alla contestata aggravante.
Diritto
1. Il primo motivo di ricorso é infondato, in quanto la pretesa mancanza di correlazione fra accusa e sentenza non è affatto sussistente: é invero sufficiente la lettura dell’imputazione, nella quale viene specificamente fatto riferimento alla condotta del E.D.M. nell’atto di procedere, utilizzando l’escavatore giudicato inidoneo, alla demolizione di pareti interne del fabbricato D19, per comprendere che la conseguente affermazione di penale responsabilità del C.M., confermata dalla sentenza impugnata, é riferita per l’appunto al fatto che, in concreto, la I. si era assunta quanto meno in parte lavori di demolizione, durante l’esecuzione dei quali il suo dipendente E.D.M. veniva investito dal crollo di macerie che gli costava la vita. Non é perciò dato ravvisare alcun difetto di correlazione fra accusa e sentenza, posto che gli elementi contenuti nell’editto imputativo erano pienamente idonei a enunciare nei suoi tratti essenziali la condotta contestata all’imputato (per la quale lo stesso veniva poi condannato) senza alcuna lesione dell’esercizio, da parte sua, dei diritti della difesa (si rinvia al riguardo ai principi espressi tra l’altro da Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051, e da Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619).
2. Parimenti infondato é il secondo motivo di ricorso.
Va premesso che il difetto di motivazione in esso dedotto, per come esposto nell’impugnazione, é in realtà riferito a censure all’impianto motivazionale riguardanti la valutazione di dati probatori sui quali la Corte di merito, e prima ancora il Tribunale, hanno esposto il loro convincimento di colpevolezza in modo congruo, esente da vizi logici e da contraddittorietà censurabili in questa sede.
A fronte di ciò, va ricordato che non sono deducibili in sede di legittimità censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (si veda da ultimo Sez. 6, Sentenza n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).
Nel caso di specie, trattandosi di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio di travisamento della prova, previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., può essere dedotto solo quando l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetto “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis, vds. Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014 Ud., Del Gaudio e altri, Rv. 258774). Ad esempio, esso é ravvisabile nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, Sentenza n. 5615 del 13/11/2013 Ud., Nicoli, Rv. 258432).
All’evidenza, nel caso di che trattasi non si versa in alcuna delle sopra citate condizioni.
Invero, il richiamo della Corte territoriale all’ampia motivazione della sentenza di primo grado (arricchito peraltro da numerosi spunti argomentativi di portata affatto chiara e conducente), censurato nel motivo di ricorso in esame, non integra alcun vizio nel compendio motivazionale della sentenza impugnata: basti qui considerare che, secondo costante giurisprudenza, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando (come nella specie) i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (vds. Sez. 3, Sentenza n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; Sez. 3, Sentenza n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615).
Quanto, poi, al fatto che il ricorrente si duole della carenza di elementi motivazionali da parte della Corte di merito nella decisione di respingere la prospettazione difensiva di possibili soluzioni alternative rispetto alla ricostruzione accusatoria, é appena il caso di ricordare che il principio dell’ “oltre ragionevole dubbio”, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza e non può, quindi, essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello (si veda in terminis Sez. 5, Sentenza n. 10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579; Sez. 1, Sentenza n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600): nella specie la Corte territoriale ha congruamente motivato sulla presenza di elementi probatori di valore univoco e particolarmente pregnante in ordine al fatto che, al momento dell’incidente, fosse in corso da parte della vittima (dipendente dal C.M.) un’attività di demolizione, con peculiare riguardo al fatto che la persona offesa stava operando con l’escavatore munito di martello pneumatico all’estremità del braccio, nonché al richiamo delle deposizioni del teste Z. come recepite dalla sentenza di primo grado.
3. Il terzo e ultimo motivo é inammissibile manifestamente infondato.
A fronte della contestazione, del tutto aspecifica, con la quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 62 n. 6 cod.pen. in regime di prevalenza, la motivazione resa sul punto dalla Corte territoriale é affatto chiara ed esaustiva pur nella sua sinteticità, atteso che essa fa espresso richiamo alla gravità del fatto in sé considerato (elemento che già assicura sul punto una tenuta motivazionale: si veda per tutte Sez. 2, Sentenza n. 9387 del 15/06/2000, Pranteddu e altro, Rv. 216924), non mancando altresì di richiamare le difficoltà dell’accertamento probatorio indotte dall’atteggiamento improntato alla reticenza da parte di alcuni dipendenti del C.M..
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 15 gennaio 2016.
FONTE: Cassazione Penale