Pubblicità. Sì all’imposta per la scritta sul muro
L’imposta sulla pubblicità è dovuta, se la denominazione sociale è riportata a grandi caratteri sulla facciata dell’immobile costituente sede dell’azienda.
Con la sentenza n. 2151/66/15 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (Sez. Staccata di Brescia) ha ritenuto legittimo un avviso di accertamento per il recupero a tassazione dell’imposta comunale sulla pubblicità in relazione alle scritte apposte sui muri perimetrali della sede principale della società contribuente che riportavano la sua denominazione e il logo.
A detta della contribuente, la pretesa era infondata perché le scritte in questione non rappresentavano alcun messaggio pubblicitario, atteso che raffiguravano solamente il logo aziendale e la denominazione sociale, senza integrare i requisiti di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 507/93. Di diverso avviso il concessionario della riscossione che si è visto dare ragione dalla CTR di Brescia.
Il collegio bresciano ha ricondotto la vertenza nell’alveo della fattispecie della “insegna di esercizio”. Infatti, l’art. 2-bis comma 7 della Legge n. 75 del 2002 definisce “insegna d’esercizio” la scritta di cui all’art. 47 del Regolamento di esecuzione del nuovo Codice della Strada, approvato con il D.P.R. n. 495 del 1992, vale a dire: “la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli o da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”, precisando, inoltre, come detta scritta deve avere “la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica”.
L’art. 17, comma 1-bis, del D.Lgs. 507/93 prevede una disciplina a favore delle insegne le cui dimensioni non superino i 5 metri escludendo per le medesime il pagamento dell’imposta sulla pubblicità. Di contro, qualora detto limite dimensionale sia superato, l’imposta è pienamente dovuta; e se, come nel caso di specie, siano state apposte una pluralità di scritte, il calcolo dimensionale va ragguagliato alla superficie complessiva, da ottenersi cumulando le superfici delle varie insegne.
Ad esempio, se l’unica insegna esposta per individuare la sede di svolgimento dell’attività economica ha una superficie di 10 metri quadrati, il titolare del mezzo pubblicitario deve pagare il tributo o il canone commisurandolo a detta superficie. Il suddetto meccanismo di commisurazione della superficie assoggettabile a tributo o a canone trova applicazione anche nel caso in cui siano esposte una pluralità di insegne di esercizio. Ciò si desume dal comma 6 dell’art. 2-bis che dispone espressamente come: “in caso di pluralità di insegne l’esenzione è riconosciuta nei limiti di superficie di cui al comma 1”, cioè per la superficie complessiva non superiore a 5 metri quadrati.
Nel caso di specie, secondo la CTR bresciana, “la scritta (omissis), ripetuta più volte sui muri perimetrali della sede principale della società (omissis) s.p.a., indipendentemente dal tratto grafico che la caratterizza, rappresenta a tutti gli effetti una insegna di esercizio, o per meglio dire una pluralità di insegne di esercizio assoggettate all’imposta sulla pubblicità. Dalla documantazione prodotta in atti si evince, infatti, come le scritte di grandi dimensioni poste sulla facciata della sede aziendale di 568 mqindividuino la sede della società, oltre ad essere esposte in luogo aperto al pubblico e ben percepibili dalla adiacente pubblica via”.
La contribuente, stante l’accoglimento dell’appello del concessionario, è stata condannata al pagamento delle spese del giudizio.
FONTE: fiscal-focus.info
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