Fatto
1. Il sig. M.U. ricorre per l’annullamento della sentenza del 24/11/2013 del Tribunale di Roma che l’ha condannato alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 4, comma 2, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dall’art. 28, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, perché, quale direttore generale del Policlinico Umberto I, aveva omesso di rielaborare il documento di valutazione dei rischi presenti nei locali della struttura obitoriale di pertinenza e degli spazi comuni utilizzati dal personale che vi opera per le attività di sala settoria e camera mortuaria del Policlinico (omissis), trasferita nell'(omissis). Il fatto risulta accertato il (omissis) , con permanenza dell’omissione.
La vicenda trae origine da un’ispezione effettuata il (omissis) presso l’obitorio del (…), ove era stata trasferita l’attività obitoriale del Policlinico (omissis), nel corso della quale era emerso che vi erano addetti i dipendenti del Policlinico e che non era stato redatto il documento di valutazione dei rischi.
I locali in questione – secondo la documentata ricostruzione del Tribunale – erano stati assegnati all’Università degli Studi (omissis) che, in base ad una convenzione sottoscritta il 31/10/2005 dal Rettore dell’Università, dal Direttore del dipartimento di medicina legale dell’Università stessa e dalla società “AMA S.p.a.”, subentrata al Comune di Roma nella gestione dei servizi pubblici e cimiteriali, si era assunta, dietro pagamento di corrispettivo a titolo di contributo alle spese di funzionamento del servizio, la complessiva gestione e responsabilità del funzionamento dell’obitorio comunale.
In detti locali si svolgeva l’attività obitoriale che, dall’ottobre 2006, il Policlinico Umberto I aveva trasferito al Dipartimento di medicina legale dell’Università.
L’imputato, deducendo l’autonomia giuridica del Policlinico rispetto all’Università, dichiaratosi perciò estraneo all’obbligo della sorveglianza sanitaria nei confronti del personale dell’obitorio (ciò perché il personale aveva funzioni codificate da una convenzione alla quale il Policlinico era rimasto del tutto estraneo), aveva ritenuto di non dover ottemperare alle prescrizioni dell’ispettore del lavoro e di non essere tenuto a redigere, pertanto, il documento di valutazione del rischio, obbligo che, a suo giudizio, incombeva esclusivamente sull’Università.
Il Tribunale, nel ritenere infondati questi ultimi argomenti difensivi, ha affermato la responsabilità penale dell’imputato sul rilievo che i locali erano adibiti a luogo di lavoro dei dipendenti del Policlinico e che la contemporanea presenza di lavoratori dipendenti da altri datori non valesse ad escludere i reciproci obblighi ma ad implementare, semmai, la necessità di un maggior coordinamento.
1.1.Con il primo motivo il M. eccepisce l’erronea applicazione dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 626 del 94 e omessa motivazione sul punto.
Deduce, al riguardo, che il Tribunale di Roma ha abdicato al suo dovere di individuare il reale destinatario dell’obbligo penalmente sanzionato, che non può individuarsi nel datore di lavoro dei dipendenti che frequentano gli ambienti di lavoro di altrui titolarità o comunque gestiti da altri (nel caso di specie l’Università degli Studi (omissis) ). La titolarità dell’obbligo in capo a quest’ultima deriva dalla convenzione stipulata il 31/10/2005 con la “AMA S.p.a.” in forza della quale, in corrispettivo dell’utilizzo dei locali messi a disposizione, l’AMA si era impegnata a pagare la somma annuale di Euro 516.000,00, e l’Università di era assunta precisi obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria dei locali e delle attrezzature ivi presenti.
1.2.Con il secondo motivo eccepisce vizio di motivazione in punto di riconoscimento della colpa dell’imputato che, invece, aveva comunque provveduto, per la parte di propria competenza, ad effettuare, in collaborazione con il responsabile per la sicurezza del Policlinico, le valutazioni poi trasmesse all’Università per la redazione finale del documento. Tale comportamento, conclude, non può essere qualificato alla stregua di uno “scarico burocratico”.
1.3. Con il terzo eccepisce la maturata prescrizione del reato che non ha natura permanente.
Diritto
2. Il ricorso è infondato.
3.A norma dell’art. 4, commi 1 e 2, dell’abrogato d.lgs. n. 626 del 1994, “1. Il datore di lavoro, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, valuta tutti i rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro. 2. All’esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente: a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla valutazione di cui alla lettera a); c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza”.
3.1.Va in primo luogo ribadito (anche se il principio non è in discussione) che, secondo quanto già affermato da questa Corte, sussiste continuità normativa tra l’art. 4, d.lgs. n. 626, cit. – formalmente abrogato dall’art. 304, d.lgs. n. 81 del 2008 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) – e la vigente normativa antinfortunistica, considerato che il contenuto delle predette disposizioni risulta recepito dagli artt. 28 e 29, d.lgs. n. 81, cit. in relazione ai rischi aziendali ed alle modalità di effettuazione della relativa valutazione, disposizioni che tutelano penalmente le predette cautele antinfortunistiche (Sez. 4, n. 42018 del 12/10/2011, Rv. 251932).
3.2.Tanto premesso, costituisce dato di fatto non contestato che all’interno dei locali obitoriali del (…) operasse anche il personale dipendente del Policlinico (omissis) che, secondo quanto testimoniato dal responsabile del servizio prevenzione e protezione del Policlinico, S.G. , vi svolgeva le medesime attività precedentemente disimpegnate in altri e diversi locali di pertinenza del Policlinico stesso risultati inadeguati a seguito della redazione del DVR. Lo stesso testimone, peraltro, aveva evidenziato che il 22 ottobre 2007, in epoca dunque successiva all’ispezione, il M. aveva chiesto al Rettore dell’Università di produrre il DVR e poiché questi non vi aveva provveduto, aveva effettuato un sopralluogo il (omissis) e redatto un verbale, trasmesso al Rettore dell’Università, in cui evidenziava le carenze della struttura e gli interventi da eseguire.
3.3. Non v’è dubbio, pertanto, che i locali obitoriali del (…), che l’Università aveva concesso in uso al Policlinico, fossero adibiti a luogo di lavoro anche del personale dipendente del Policlinico stesso.
3.4. Si tratta, dunque, di ipotesi del tutto diversa da quella in cui, nel medesimo luogo di lavoro, operano i dipendenti anche dell’impresa appaltatrice o lavoratori autonomi ai quali il datore di lavoro dell’impresa committente abbia affidato lavori, servizi o forniture. In questi casi è la stessa legge a individuare, diversamente dal passato, nel datore di lavoro committente il solo soggetto tenuto alla redazione del documento di valutazione del rischio (cfr. art. 26, comma 3, d.lgs. 81 del 2008).
3.5. Nel caso di specie, invece, il medesimo ambiente funge da luogo di lavoro per diversi dipendenti i quali operano in modo del tutto autonomo ed al di fuori di un rapporto giuridicamente rilevante con l’altrui datore di lavoro.
3.6. È vero che i locali in questione erano stati concessi in convenzione onerosa all’Università che, secondo la tesi difensiva, era l’unica, in base all’art. 7 della convenzione, ad avere il potere di effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’obitorio, ma tale argomento non ha rilevanza ai fini della sussistenza dell’obbligo di redazione del documento poiché il suo adempimento assolve ad un onere conoscitivo necessariamente preliminare all’esecuzione degli interventi eventualmente necessari.
3.7. Ove, a seguito della elaborazione del documento, dovessero emergere fonti di pericolo per la salute dei lavoratori ineliminabili da parte di chi non ha la disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro, la conseguenza non può essere diversa da quella che impone al datore di lavoro di astenersi dal chiedere ai propri dipendenti di lavorare in una situazione in cui persiste un pericolo grave e immediato (art. 4, comma 5, lett. I, d.lgs. n. 626 del 1994, oggi art. 18, comma 1, lett. m, d.lgs. n. 81 del 2008). A maggior ragione non gli è consentito utilizzare i luoghi per i quali manchi del tutto il documento di elaborazione del rischio e ancor più quando, come nel caso di specie, ma successivamente all’ispezione, l’imputato ha potuto far ispezionare i locali, dando così prova, per comportamento concludete di essere era nelle condizioni di poter redigere il documento omesso.
3.8. Ne consegue che, in questi casi, ciascun datore di lavoro è tenuto ad adempiere all’obbligo di elaborazione del documento di vantazione del rischio, obbligo che gli deriva dalla sua qualità e che non è delegabile (art. 4, commi 1 e 2, d.lgs. n. 626 del 1994, e 17, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 81 del 2008).
3.9. Si tratta del resto di evenienza niente affatto sconosciuta al legislatore che ha previsto la possibilità che nello stesso luogo di lavoro operino lavoratori di più imprese ed ha stabilito, in tal caso, che ciascun datore di lavoro è responsabile per le questioni soggette al suo controllo (art. 88-septies, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994, oggi 292, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2008).
3.10. Ne consegue che quando in un medesimo ambiente di lavoro operano stabilmente più lavoratori dipendenti da datori di lavoro diversi e non legati tra loro da alcun rapporto di appalto, di somministrazione o comunque da altro rapporto giuridicamente rilevante, ciascun datore di lavoro è tenuto alla elaborazione del documento di valutazione del rischio. Ove all’esito dell’elaborazione del documento dovessero risultare situazioni di pericolo, al datore di lavoro che non possa in altro modo intervenire per eliminarle non resta che impedire che in quei luoghi prosegua l’attività lavorativa dei propri dipendenti.
4. È infondato anche il secondo motivo di ricorso.
Il reato per il quale si procede, di natura propria ed omissiva, permane per tutto il periodo in cui gli ambienti siano adibiti a luogo di lavoro e il datore di lavoro non ottemperi all’obbligo di elaborare il relativo documento di valutazione del rischio.
Peraltro, la mancata ottemperanza alle prescrizioni, imposte proprio per sollecitare l’adempimento all’obbligo violato, non può contraddittoriamente comportare la cessazione della permanenza che solo l’ottemperanza ad esse può produrre.
Sicché oltre alle considerazioni legate alla natura del bene tutelato (la vita e l’incolumità individuale dei singoli lavoratori per tutto il tempo in cui operano negli ambienti di lavoro), militano, a favore della natura permanente del reato, le considerazioni di ordine logico appena indicate.
Ne consegue che la permanenza non cessa con l’adozione delle prescrizioni.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.