I datori di lavoro devono conservare gli attestati della avvenuta formazione
Con la Sentenza 9 settembre 2014 n. 37312, la Quarta Sezione Penale della Suprema Corte ha affermato che i datori di lavoro ai sensi dell’art. 37 D.Lgs.81/08 devono “ottemperare all’obbligo di formazione dei dipendenti e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione”
Nella fattispecie, un datore di lavoro “è stato chiamato a rispondere, davanti al Tribunale di Belluno del reato ex art. 55 co. 5 lett. c), d.Lvo 81/08, in relazione all’art. 37 co. 1 stesso decreto, perché,quale titolare della R. Srl non aveva provveduto ad assicurare una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro in relazione alla mansione di boscaiolo svolta dall’infortunato E.V., con le specifiche misure prevenzionistiche, tipiche del settore boschivo.”
Il datore di lavoro, condannato dal Tribunale, ricorre in Cassazione, lamentando, tra i vari motivi di ricorso, la “non necessità della prova scritta da parte del datore di lavoro della avvenuta formazione del lavoratore fino al 2011“.
La Cassazione rigetta il ricorso ed afferma la necessità che tale prova scritta venga fornita dal datore di lavoro.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “è il R. che doveva fornire la prova sulla formazione del V. per i seguenti motivi:
– i datori di lavoro sono tenuti, ex artt. 37 (disposizione che ha sostituito l’art. 22, co. 1, d.lvo 626/94 ) e 55, co. 5, d.Lvo 81/08, ad ottemperare all’obbligo di formazione dei dipendenti, e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione, secondo il dettato di cui al decreto ministeriale del 16/1/1997, richiamato implicitamente dall’allegato A), punto 10 dell’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011.
– la mancata produzione da parte del R. della relativa documentazione non è giustificata.”
Poi, prosegue la Corte, “del pari, non è fondata la tesi sostenuta dallo stesso imputato, secondo cui la avvenuta formazione, all’epoca del fatto, poteva essere anche dimostrata verbalmente dal datore di lavoro, in quanto il co. 2 dell’art. 37 del citato decreto rimette alla conferenza tra Stato e Regioni la determinazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione che il responsabile è tenuto a dare al lavoratore, accordo tra Stato e Regioni stipulato solo nel 2011.
La compiuta lettura della normativa in materia, però, consente di rilevare che:
– il d.lvo 81/08, all’art. 37 co. 2 rimette all’accordo Stato-Regioni le modalità, come detto, di regolamentazione della formazione del soggetto lavoratore-dipendente;
– l’allegato A), punto 10 dell’accordo Stato-Regioni del dicembre 2011, richiama implicitamente il d.M. 16/1/1997 e i contratti collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, laddove dispone che ‘”in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi.”
Sentenza
Cassazione Penale, Sez. 4, 09 settembre 2014, n. 37312 – Mansione di boscaiolo e mancata formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro
Fatto
G.R. è stato chiamato a rispondere, davanti al Tribunale di Belluno del reato ex art. 55 co. 5 lett. c), d.Lvo 81/08, in relazione all’art. 37 co. 1 stesso decreto, perché, quale titolare della R.L. srl non aveva provveduto ad assicurare una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro in relazione alla mansione di boscaiolo svolta dall’infortunato E.V., con le specifiche misure prevenzionistiche, tipiche del settore boschivo.
Il Tribunale, riconosciuta la responsabilità dell’imputato per il reato ad esso contestato, condannava lo stesso alla pena ritenuta di giustizia.
Propone ricorso per cassazione la difesa del R. con i seguenti motivi:
– violazione degli artt. 27, co. 2 Cost., 192 e 533 cod.proc.pen., non potendosi ascrivere all’imputato l’onere di provare la propria innocenza, in quanto è l’accusa che deve fornire la prova della colpevolezza del prevenuto;
– vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di emergenze istruttorie atte a suffragare la tesi dell’accusa e, quindi, a riconoscere la colpevolezza dell’imputato;
– violazione di legge sostanziale in punto di non necessità della prova scritta da parte del datore di lavoro della avvenuta formazione del lavoratore fino al 2011;
– vizio di motivazione con riferimento all’art. 31, d.Lvo 81/08, norma inconferente ed estranea al capo di imputazione;
Diritto
Il ricorso è inammissibile.
Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, consente di ritenere logica e corretta la argomentazione motivazionale, adottata dal decidente, in ordine alla sussistenza del reato contestato e alla ascrivibilità di esso in capo al prevenuto.
Il primo motivo di annullamento è del tutto destituito di fondamento, rilevato che è il R. che doveva fornire la prova sulla formazione del V. per i seguenti motivi:
– i datori di lavoro sono tenuti, ex artt. 37 (disposizione che ha sostituito l’art. 22, co. 1, d.lvo 626/94 ) e 55, co. 5, d.Lvo 81/08, ad ottemperare all’obbligo di formazione dei dipendenti, e devono conservare in azienda la attestazione della avvenuta formazione, secondo il dettato di cui al decreto ministeriale del 16/1/1997, richiamato implicitamente dall’allegato A), punto 10 dell’Accordo Stato-Regioni del 21/12/2011.
– la mancata produzione da parte del R. della relativa documentazione non è giustificata.
Del pari, non è fondata la tesi sostenuta dallo stesso imputato, secondo cui la avvenuta formazione, all’epoca del fatto, poteva essere anche dimostrata verbalmente dal datore di lavoro, in quanto il co. 2 dell’art. 37 del citato decreto rimette alla conferenza tra Stato e Regioni la determinazione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione che il responsabile è tenuto a dare al lavoratore, accordo tra Stato e Regioni stipulato solo nel 2011.
La compiuta lettura della normativa in materia, però, consente di rilevare che:
– il d.lvo 81/08, all’art. 37 co. 2 rimette all’accordo Stato-Regioni le modalità, come detto, di regolamentazione della formazione del soggetto lavoratore-dipendente;
– l’allegato A), punto 10 dell’accordo Stato-Regioni del dicembre 2011, richiama implicitamente il d.M. 16/1/1997 e i contratti collettivi di lavoro quanto alla formazione obbligatoria del lavoratore e alle relative modalità di esecuzione, laddove dispone che ‘”in fase di prima applicazione non sono tenuti a frequentare i corsi di formazione di cui ai punti 4, 5 e 6 i lavoratori, i dirigenti e i preposti che abbiano frequentato corsi di formazione formalmente e documentalmente approvati alla data di entrata in vigore del presente accordo, rispettosi delle previsioni normative e delle indicazioni previste nei contratti collettivi di lavoro per quanto riguarda durata, contenuti e modalità di svolgimento dei corsi. Conseguentemente, il datore di lavoro deve provare di avere ottemperato all’obbligo in questione, in quanto tenuto a compilare un documento sulla formazione del lavoratore, contenente i riferimenti anagrafici di costui, le ore di formazione dedicate ai rischi, la data della formazione medesima.
Il contestato richiamo all’art. 31, fatto dal decidente, anche a considerarsi errato, risulta inconferente ai fini del decidere sulla responsabilità del R.
Le emergenze istruttorie hanno consentito al giudice di merito di rilevare l’assoluto difetto di preparazione formativa del lavoratore alla attività alla quale era stato destinato, conseguenza del mancato rispetto del dettato normativo in materia.
Tenuto conto, di poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso deve, a norma dell’art. 616 cod.proc.pen., essere condannato al pagamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.
FONTE: portaleconsulenti.it
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