Cassazione Penale. Il DVR semplificato non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di valutazioni specifiche
Cassazione Penale, Sez. 3, 06 aprile 2021, n. 12940 – DVR e rischio MMC. Le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di VDR non esonerano il datore di lavoro dall’obbligo di predisporre e tenere il relativo documento.
Fatto Diritto
1. Con sentenza del 6 giugno 2019, il Tribunale di Lucca, all’esito del dibattimento celebrato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ha condannato E.L.C. alla pena di 2.000,00 euro di ammenda per il reato di cui agli artt. 29, primo comma, e 55, comma 1, lett. a), d.lgs. 81 del 2008 per non aver elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi (DVR) in relazione, in un cantiere edile, al rischio dovuto alla movimentazione manuale dei carichi, con particolare riguardo agli arti superiori, omettendo di indicare le misure preventive da adottarsi nelle specifiche situazioni.
2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 29, comma 1, 28, comma 2, lett. a), e 168, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008, nonché il vizio di motivazione.
Si lamenta, in particolare, che, cercando anche di ottemperare alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza, l’imputato aveva fatto redigere il DVR da un geometra, con l’ausilio del medico competente, e che esso era conforme alle prescrizioni di legge, in particolare, trattandosi di azienda che occupa sino a dieci dipendenti, alle procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f), d.lgs. 81 del 2008 ed alle prescrizioni previste dal medesimo decreto, e dall’allegato XXXIII, con riguardo alla movimentazione manuale dei carichi. Non essendovi norme tecniche particolari da applicarsi, era necessario fare riferimento alle “buone prassi” e alle “linee-guida” definite all’art. 2, comma 1, lett. v) e z), d.lgs. 81/2008.
3. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato in diritto e proposto per motivi generici e concernenti la valutazione del fatto, non deducibili in sede di legittimità.
3.1. Quanto al primo aspetto, deve rilevarsi come, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare ed individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e aa., Rv. 261109; Sez. 4, n. 20129 del 10/03/2016, Serafica e a., Rv. 267253). Il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del suddetto documento non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia (Sez. 4, n. 27295 del 02/12/2016, dep. 2017, Furlan, Rv. 270355).
Il reato previsto dall’art. 29, quinto comma, d.lgs. 81 del 2008 – che si pone in continuità normativa con la previsione di cui all’art. 4, comma secondo, del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626 – punisce l’omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori da parte del datore di lavoro anche con riguardo alle aziende che occupino fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende, non esonerano il datore di lavoro dall’obbligo di predisporre e tenere il predetto documento (Sez. 3, n. 23968 del 03/03/2011, La Carrubba, Rv. 250375). Anche in queste ipotesi, le modalità pur semplificate di adempimento dell’obbligo di valutazione richiedono l’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi (cfr. Sez. 3, n. 4063 del 04/10/2007, dep. 2008, Franzoni, Rv. 238539). A norma dell’art. 28, comma 2, lett. a) e b) d.lgs. 81 del 2008, il contenuto qualificante e minimo del DVR deve quantomeno contemplare «una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa» – ed i criteri di semplicità, brevità e comprensibilità che la disposizione richiama non possono andare a discapito della completezza e dell’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione – e «l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati».
3.2. La sentenza impugnata, con valutazione di merito qui non sindacabile, attesta che il DVR, pur dopo le prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza per ovviare alla ancor più marcata inadeguatezza di un originario documento esibito, si limitava ad elencare del tutto genericamente i fattori di rischio concernenti la movimentazione manuale dei carichi, senza specificare gli interventi atti a ridurre od eliminare gli stessi, sì che l’adempimento normativo era privo di qualsiasi concreta portata.
Le doglianze mosse dal ricorrente si limitano a contestare tale valutazione, che, tuttavia, ha evidente natura di merito e non può essere sindacata in questa sede.
Del tutto generica, poi, è l’allegazione circa il fatto che sarebbero state seguite le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f), d.lgs. 81/2008, non risultando ciò dalla sentenza impugnata e non avendo il ricorrente contestato il travisamento della prova, né allegato quali sarebbero state le procedure standard approvate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro nella specie osservate.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12 gennaio 2021.
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