Cassazione Penale, Sez. 4, 03 febbraio 2017, n. 5281 – Responsabilità del committente – capo condominio per la caduta da un ponteggio di un dipendente della ditta aggiudicataria delle opere di rifacimento del prospetto del condominio
Fatto: 1. La Corte di appello di Palermo con la impugnata sentenza, in riforma della sentenza emessa in data 11/4/2014 dal Tribunale di quella città, ha assolto L.M. dall’imputazione di omicidio colposo ai danni di S.S.. L’imputato – quale capo condominio dell’immobile sito a Palermo in via OMISSIS, e, quindi, committente dei lavori per le opere di rifacimento del prospetto del medesimo condominio – era stato ritenuto dal giudice di primo grado responsabile del decesso dello S.S. (dipendente della ditta aggiudicataria dei lavori, che era precipitato a terra dall’altezza del 2° – 3° piano, nell’atto di scendere dal ponteggio metallico montato per la realizzazione delle suddette opere di rifacimento) per aver omesso di attenersi ai principi ed alle misure generali di tutela per consentire l’esecuzione dei lavori in condizioni di sicurezza e in particolare per aver omesso di verificare l’idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice.
2. Avverso la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di appello di Palermo propongono impugnazione sia le già costituite parti civili S.L., G.G., S.A.e S.R.; sia il PM, su sollecitazione delle suddette parti civili.
3. Le parti civili ricorrenti denunciano violazione di legge e vizio di motivazione laddove la Corte territoriale aveva ritenuto non provata la valida stipulazione di un accordo tra l’imputato e la ditta esecutrice dei lavori (e, dunque, aveva ritenuto non provato che l’imputato avesse mai autorizzato la messa in opera del ponteggio dal quale, poi, sarebbe caduto l’operaio S.S.), nonché laddove la Corte aveva fondato il giudizio assolutorio sull’errata comprensione del senso letterale della memoria illustrativa a firma del teste B.F..
3.1. Sotto il primo profilo, i ricorrenti si dolgono che la Corte ha ritenuto attendibili le deposizioni rese dai testi G.P. e I.R. (che sarebbero state riportate, peraltro sommariamente, senza una autonoma lettura critica), mentre ha ritenuto inattendibili e comunque non ha preso in considerazione le dichiarazioni rese dai testi S.L. e B.F. e C.S.. In particolare, secondo le parti civili ricorrenti, il contratto si era già perfezionato, in quanto il rag. C.S., all’udienza del 27/3/2013, aveva riferito che: il L.M., proprio il giorno dell’infortunio (15 gennaio 2007), si era recato presso il suo studio di consulenza per fare ripartire, sulla base dei millesimi condominiali, la somma pattuita con l’impresa B.F.; e, nell’occasione, su richiesta del L.M., il suo collaboratore S.A. aveva effettuato la ripartizione della spesa tra i condomini, stampando e consegnando al L.M. le ricevute di quietanza da rilasciare ai condomini. In definitiva, i giudici di appello, non avrebbero effettuato alcun vaglio critico sulle principali fonti di accusa e sugli elementi di riscontro che ne confermavano la credibilità e la attendibilità e dunque non si sarebbero misurati con i numerosi punti specifici che avevano fondato il giudizio di colpevolezza espresso dal Tribunale di Palermo.
3.2. Sotto il secondo profilo, i ricorrenti osservano che la Corte territoriale, in diverse parti della motivazione, per sostenere la lacunosità e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal teste B.F., ha richiamato il contenuto della memoria illustrativa, firmata dallo stesso ed acquisita nel corso dell’istruzione dibattimentale. In particolare, nella impugnata sentenza, viene sostenuto due volte (cfr.p. 5) che nella predetta memoria si leggerebbe che il B.F. aveva invitato l’amministratore del condominio a presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del contratto, quando invece nella predetta memoria si legge esattamente il contrario (e cioè che il B.F. era stato invitato dall’amministratore a presentare la documentazione necessaria).
4. Il Pubblico Ministero ricorrente denuncia vizio motivazionale, laddove la Corte di appello «in poche stringate paginette» ha dato rilevanza alla documentazione che sarebbe stata richiesta al B.F. al fine della conclusione del contratto, giungendo ad affermare del tutto illogicamente che sarebbe stato il B.F. a richiedere all’amministratore di presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del contratto; nonché laddove aveva ritenuto attendibile il teste G.P. (questi, quale condomino, avrebbe potuto temere il proprio coinvolgimento personale nei fatti) ed il teste B.F. (questi, al fine di mantenere buoni rapporti con il condominio, poteva essere stato spinto a rivedere le proprie precedenti dichiarazioni).
5. In vista dell’odierna udienza, tramite difensore, deposita nota l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, chiedendo l’accoglimento dei proposti ricorsi.
Secondo l’Istituto, la Corte territoriale, nell’escludere che il L.M. abbia avuto una responsabilità nella causazione del tragico evento, avrebbe disatteso la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di responsabilità civile del committente.
Diritto:
1.I ricorsi delle parti civili ed il ricorso del PM sono fondati e meritano accoglimento.
2.In via preliminare occorre dar atto che i ricorsi non mettono in discussione: né che il L.M., al momento del verificarsi dell’infortunio per cui è processo, rivestisse la qualifica di committente dei lavori; né gli obblighi che gravavano sul L.M., in qualità di committente dei lavori (e la conseguente di lui responsabilità a titolo di culpa in eligendo, per avere affidato i lavori ad impresa priva dei requisiti di affidabilità e capacità tecnico organizzativa, ed a titolo di culpa in vigilando, per avere omesso di vigilare sulla predisposizione da parte della ditta appaltatrice di adeguate misure antinfortunistiche); e neppure la sussistenza del necessario nesso causale tra l’evento letale ed i ritenuti profili di colpa.
Il fulcro delle doglianze sia del PM che delle parti civili ricorrenti è che il giudice di appello ha riformato la decisione di condanna del giudice di primo grado, pervenendo ad una sentenza di assoluzione, senza un compiuto riesame del materiale probatorio vagliato dal primo giudice, e, in particolare, senza misurarsi con i numerosi punti specifici che avevano fondato il giudizio di colpevolezza su cui si era basata la motivazione del giudice di primo grado.
E, al riguardo, occorre ricordare che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel caso in cui il giudice di appello abbia riformato, assolvendo l’imputato, la sentenza di condanna di primo grado, nel giudizio di legittimità è doveroso il controllo circa la corretta applicazione dei principi che disciplinano la valutazione della prova e l’obbligo di motivazione. Il giudice di appello che riformi la decisione di condanna di primo grado, pervenendo a una sentenza di assoluzione, non può, infatti, limitarsi a prospettare notazioni critiche di dissenso alla pronuncia impugnata, dovendo piuttosto esaminare, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e mettere in luce le carenze o aporie della decisione impugnata, per dare, con riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 2, sent. n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327; Sez. 6, sent. n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005).
La sentenza impugnata, per come di seguito sarà precisato, non risulta rispettosa di tali criteri.
3. Invero, il Tribunale di Palermo – ad esito di una articolata istruzione dibattimentale e dopo aver sentito ai sensi dell’art. 507 c.p.p. i testi G.B., I.R. e S.L. – ha ritenuto provato che il L.M. – quale committente dei lavori – aveva omesso di adoperarsi per garantire il rispetto delle norme finalizzate a prevenire gli infortuni ai lavoratori e di verificare l’idoneità tecnico professionale dell’Impresa scelta per la realizzazione delle opere e che il decesso di S.S. era riconducibile, sotto il profilo della riferibilità soggettiva, proprio alle suddette omissioni.
Precisamente, il Giudice di primo grado – dopo essersi soffermato sulla conseguenzialità tra la caduta ed il decesso dello S.S. e sulla causa del decesso (pp. 3-4); nonché sulla dinamica e sulla causa del sinistro (pp. 4-7) – ha sottoposto ad analitica disamina le risultanze dibattimentali relative al coinvolgimento nei fatti del capo condomino L.M. (pp. 7-9) ed alla versione difensiva dallo stesso offerta nel corso dell’esame dibattimentale (pp. 9-18), per quindi pervenire alle seguenti conclusioni (pp. 18-32):
– per effetto dell’accordo dei condomini (pur non formalizzato in un verbale) di approvare il preventivo della ditta del B.F., era da considerarsi validamente perfezionato il rapporto contrattuale tra il condominio – in persona di L.M., quale capo condomino e quindi legale rappresentante pro tempore – e l’impresa B.F. (pp. 18-20). Ed invero: a) da tutte le deposizioni era emerso che, a seguito di una riunione dei condomini, era stato scelto il preventivo presentato dalia ditta B.F., ritenuto il più conveniente economicamente, ed accettato dai condomini tanto che sul documento era stata annotata l’avvenuta approvazione; b) la scelta della ditta B.F. per l’esecuzione dei lavori era stata comunicata al titolare B.F., circostante questa riferita, oltre che da quest’ultimo, anche dal di lui suocero S.L. (pure presente all’incontro con i condomini ed il capo condominio); c) anche dall’esame dell’Imputato era desumibile che, alla riunione del dicembre 2006, svoltasi nell’androne del palazzo, si erano presentati S.L. ed il B.F., i quali, ricevuta esposizione dei lavori da effettuare, avevano acconsentito (ed il B.F. era stato informato della scelta del preventivo della sua impresa). Contrariamente a quanto sostenuto dal L.M., il preventivo della ditta B.F. era stato approvato, senza riserva di produzione di documenti (che, a dire del ricorrente, sarebbero stati da lui chiesti all’impresa per poter iniziare i lavori); d’altra parte, nessuna riserva in tal senso risultava formalizzata in un qualche verbale assembleare; e, nell’Immediatezza dei fatti, i condomini, nel riferire che i lavori erano stati affidati alla ditta B.F., non avevano accennato a nessun documento (alla cui acquisizione fosse subordinato l’affidamento dell’incarico). Per contro, la versione del titolare dell’impresa appaltatrice (B.F.) di essersi accordato con il capo condominio per iniziare i lavori aveva trovato conferma con quella resa dal di lui suocero S.L.. Irrilevante era la mancata stipulazione dell’accordo in forma scritta, in quanto questa non è richiesta per la conclusione del contratto di appalto (né “ad substantiam” né “ad probationem”). Ed è contraria a logica ed all’esperienza contrattuale l’iniziativa da parte di un imprenditore di cominciare i lavori in assenza del consenso del committente (subordinato alla verifica dei documenti richiesti), in tal modo esponendosi al rischio di non poter proseguire i lavori e, conseguentemente, di perdere le risorse finanziarie investite. D’altronde, il L.M., proprio il giorno dell’inizio dei lavori, si era recato dal ragioniere per l’elaborazione delle ricevute (destinate ai condomini) relative alla quota di spesa occorrente per l’esecuzione dei lavori di rifacimento del prospetto dello stabile;
-S.S., nell’installazione del ponteggio (di per sé propedeutica ed indispensabile al fine di eseguire i lavori per il rifacimento del prospetto dell’edificio sito in via omissis, di quattro piani), muovendosi sopra una struttura priva di adeguate protezioni e di dispositivi idonei ad evitare la caduta dall’alto, era precipitato sul marciapiede sottostante da un’apprezzabile altezza, riportando gravissime lesioni, che lo avevano condotto al decesso (pp. 20-21). L’utilizzo di una siffatta struttura – alta 16 m. circa – priva degli adeguati sistemi di protezione in relazione alla totale mancanza di parapetti e delle tavole ferma piede, ed alla discontinuità delle basi di appoggio (anche in corrispondenza del 3° e 4° piano, come desumibile dai rilievi fotografici in atti), non tutelava il lavoratore stesso contro il rischio di sue condotte disaccorte ovvero di evento accidentale (quale un capogiro con perdita di equilibrio). L’evento letale, dunque, era stato determinato, sotto il profilo causale, dall’oggettiva inidoneità della struttura impiegata per il tipo di operazione richiesta (in quanto essa risultava priva dei necessari dispositivi di sicurezza e, per le sue caratteristiche, non garantiva la necessaria stabilità al lavoratore durante lo svolgimento delle operazioni di installazione del ponteggio nonché del rifacimento del prospetto dello stabile da eseguirsi salendo su tale ponteggio). In altri termini, nel caso di specie, era stata accertata la mancanza di un ponteggio adeguato (in violazione dell’art. 16 D.P.R. n. 164/1956 e dell’art. 27 D.P.R. n. 547/55);
– l’imputato, nella qualità di committente, non soltanto aveva omesso la doverosa analisi del rischio correlato all’esecuzione dei lavori, ma aveva anche omesso qualsivoglia verifica in ordine alla capacità tecnico organizzativa dell’impresa scelta per eseguire i lavori (pp. 29-30). In particolare, il B.F., titolare della ditta appaltatrice, non aveva redatto il POS (che avrebbe dovuto contenere anche le misure generali da adottare per prevenire la caduta dall’alto) e non aveva alle proprie dipendenze operai in regola. La ditta del B.F. era stata scelta sulla base del mero preventivo e del fatto che il B.F. aveva un legame di parentela con S.L., persona conosciuta nel quartiere come esperta nel settore edile. D’altra parte, non poteva ritenersi sufficiente la descrizione del ponteggio e dei relativi dispositivi di sicurezza contenuta nel preventivo presentato dal B.F. (peraltro tale descrizione non forniva alcuna informazione sulla proprietà del ponteggio, informazione che sarebbe stata invece utile al committente per la verifica dell’idoneità in concreto di tale attrezzatura);
– rispetto all’evento letale avevano avuto incidenza causale le omissioni del committente (in particolare, la mancata valutazione della idoneità tecnico professionale dell’impresa scelta per eseguire i lavori, nonché la mancata valutazione del rischio di caduta dall’alto a cui si esponevano i lavoratori nella realizzazione delle opere), tenuto conto del tipo dei lavori (rifacimento del prospetto di un immobile di quattro piani) da eseguirsi salendo sopra ad un ponteggio, privo dei basilari ed essenziali dispositivi di sicurezza (circostanza questa, che, da un lato, era indicativa dell’inadeguatezza delle attrezzature adoperate dall’Impresa B.F. per la realizzazione dei lavori e, dall’altro, rendeva riconoscibile per chiunque il pericolo di caduta di chi avesse adoperato tale impalcatura: pp. 30-32).
4. Ribaltando l’esito del giudizio di primo grado, la Corte territoriale ha ritenuto non provata la stipulazione di un accordo tra l’imputato e la ditta esecutrice dei lavori, e, dunque, non autorizzata la messa in opera del ponteggio dal quale era, poi, caduto lo S.S.. E, conseguentemente, ha ritenuto di addivenire ad una assoluzione piena dell’imputato sulla base delle seguenti argomentazioni (pp. 3-6):
-quanto dichiarato dal teste B.F. – sentito in qualità di imputato del reato connesso e, dunque, non di soggetto terzo estraneo alla vicenda – avrebbe necessitato di ulteriori riscontri estrinseci (invece mancati); d’altronde, dalla memoria sottoscritta dal B.F. – acquisita all’udienza del 5.12.2012 – era emerso che il B.F. “era stato invitato dall’amministratore pro-tempore del detto condominio a presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del relativo contratto di appalto”. Tanto invalidava la testimonianza del B.F., poiché evidenziava, in modo chiaro, l’inesistenza di un accordo – fra il L.M. e la ditta del B.F. – per iniziare i lavori. Peraltro, la posizione del B.F. era stata definita con sentenza di applicazione della pena, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, in data 22/1/2008, divenuta irrevocabile il 25/3/2008;
-i testi G.P. e I.R., presenti al momento in cui si era verificato il sinistro, avevano confermato l’esistenza del ponteggio – peraltro, montato in modo grezzo ed approssimativo, come, poi, risultato – dal quale era caduto lo S.S.;
-anche la dichiarazione di S.L. – non terzo estraneo alla vicenda in esame, in quanto legato da rapporti di parentela con il B.F., essendone il suocero – avrebbe, parimenti, necessitato di riscontri estrinseci, che, invece, erano mancati. Lo S.S., invero, aveva sostenuto di aver partecipato ad una riunione condominiale 4-5 giorni prima del 15.1.2007, alla quale era stato presente anche il genero B.F. (circostanza questa non confermata da quest’ultimo, che, invece, aveva dichiarato che si era limitato a consegnare al G. ed al L.M. il preventivo, senza aver partecipato alla detta assemblea);
-era priva di rilievo la circostanza che fosse stato predisposto l’apposito preventivo, con indicazione delle spese da ripartire per ciascun condomino, come, invece, ritenuto nella sentenza del giudice di primo grado. Infatti, il teste G.P. aveva dichiarato che si era svolta una riunione di condominio, nel corso della quale si era parlato di commissionare i lavori di ristrutturazione della facciata dello stabile all’impresa “S.L. e B.F.” e che i lavori erano iniziati il 15.1.2007, come, peraltro, dichiarato dal teste I.R.. Il predetto teste G.P., escusso in dibattimento, aveva specificato, poi, che l’amministratore del condominio non aveva ancora firmato il contratto con la ditta per l’inizio dei lavori e, in particolare, che la ditta era contattata, ma non si era ancora deciso se i lavori sarebbero stati eseguiti. Allo stesso modo, il teste I.R. aveva precisato che, nel corso dell’assemblea condominiale, si era solo deciso il preventivo e null’altro. Il teste G.P. aveva peraltro precisato di non avere preso personalmente parte alla riunione di condominio ma di aver delegato il proprio figlio ed aveva confermato che, in quella riunione, si erano valutati solo i preventivi di spesa, per come riferitogli dal figlio;
-il teste C.S. – che si occupava degli aspetti contabili dell’amministrazione del condominio – aveva dichiarato che, il giorno del fatto, il suo collaboratore S.A. ed il L.M., presente nel suo studio, avevano effettuato la ripartizione delle spese, stampandole alle ore 17:24 del 15.1.2007, cosi escludendo che il L.M. avesse consegnato la documentazione relativa all’affidamento dei lavori alla ditta del B.F.;
-a fronte di quanto dichiarato dai testi G.P., I.R. e C.S. – che non erano stati incolpati di mendacio -, appariva quantomeno lacunosa e, comunque, contraddetta la dichiarazione resa dal teste B.F., che aveva sostenuto che era stato autorizzato a montare il ponteggio dal L.M., visto anche il chiaro riferimento proveniente dallo stesso B.F., nella memoria sopra citata ed indirizzata all’Inps, nella quale si diceva espressamente che aveva egli stesso invitato l’amministratore del condominio a presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del contratto.
5. Tale essendo la trama motivazionale della sentenza impugnata, la stessa non risulta conforme ai criteri, sopra sinteticamente ricordati, affermati da consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Invero, a fronte di una pronuncia di condanna che trovava fondamento sulla base di plurimi argomenti – la Corte di Appello ha motivato l’opposta conclusione, ritenendo non provata la valida stipulazione di un accordo tra l’imputato e la ditta esecutrice dei lavori (e, conseguentemente, non autorizzata la messa in opera del ponteggio, dal quale era poi caduto S.S.) sulla base della sola disamina di alcune dichiarazioni acquisite nel corso dell’istruzione dibattimentale e senza procedere ad alcuna confutazione delle ulteriori ampie argomentazioni svolte dal Tribunale in merito. E in particolare:
a) del fatto che il preventivo di spesa 6/11/06 dell’impresa edile B.F. per la ristrutturazione del fabbricato di via OMISSIS (comprendente le opere da realizzare; i materiali da utilizzare; il trasporto sul posto; il montaggio, lo smontaggio ad opera ultimata, nonché il trasporto di ritorno al deposito dei ponteggi: cfr. sentenza di primo grado, p. 7) riportava l’annotazione manoscritta «Approvato», senza formulazione di alcuna riserva legata alla futura produzione di documenti;
b) del fatto che, al momento del fatto, i lavori oggetto del preventivo erano iniziati ed è illogico supporre che un imprenditore edile inizi i lavori in assenza del consenso del committente;
c) del fatto che proprio il giorno di inizio dei lavori il L.M. si era recato dal ragioniere per l’elaborazione delle ricevute destinate ai condomini, relative alla quota di spesa occorrente per l’esecuzione dei lavori di rifacimento del prospetto dello stabile, operazione questa evidentemente propedeutica alla riscossione dell’importo da versare all’impresa esecutrice dei lavori.
Occorre qui ribadire che il ribaltamento dello statuto decisorio in sede di gravame non può fondarsi su una semplice divergenza di apprezzamento tra giudici “orizzontalmente” proiettati verso un — reciprocamente autonomo — sindacato dello stesso materiale di prova, ma deve fondarsi sul ben diverso versante di un supposto “errore” di giudizio che l’organo della impugnazione reputi di “addebitare” al giudice di primo grado, alla luce delle circostanze dedotte dagli appellanti ed in funzione dello specifico tema di giudizio che è stato devoluto.
In altri termini, ad una plausibile ricostruzione del primo giudice, non può sostituirsi, sic et simpliciter, una altrettanto plausibile — ma diversa — ricostruzione operata in sede di impugnazione (ove così fosse, infatti, il giudizio di appello sarebbe un mero doppione del giudizio di primo grado, per di più a “schema libero”), giacché, per ribaltare gli esiti del giudizio di primo grado, deve comunque essere posta in luce la censurabilità del primo giudizio; e ciò, sulla base di uno sviluppo argomentativo che ne metta in luce le carenze o le aporie che giustificano un diverso approdo sui singoli “contenuti” che hanno formato oggetto dei motivi di appello.
La sentenza di appello, dunque, ove pervenga ad una riforma (specie se radicale, come nella specie) di quella di primo grado, deve necessariamente misurarsi con le ragioni addotte a sostegno del decisum dal primo giudice, e porre criticamente in evidenza gli elementi, in ipotesi, sottovalutati o trascurati, e quelli che, al contrario, risultino inconferenti o, peggio, in contraddizione, con la ricostruzione dei fatti e delle responsabilità poste a base della sentenza appellata. Ebbene, nella specie, lungi dal porre in risalto specifici vizi o carenze della sentenza di primo grado, i giudici dell’appello si sono limitati a trascurarne completamente i relativi approdi, per pervenire ad una diversa soluzione della vicenda processuale,
In definitiva, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo non solo di delineare le basi strutturali poste a sostegno del proprio, alternativo, ragionamento probatorio, ma anche di confutare specificamente i più rilevanti argomenti contenuti nella motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, mentre egli non può, di contro, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché ritenuta preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato.
Sotto altro profilo, occorre aggiungere che, come lamentato da tutti i ricorrenti, la Corte territoriale è anche incorsa in motivazione illogica laddove, per sostenere la lacunosità e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese da B.F., ha richiamato il contenuto della memoria illustrativa 27/2/2007, a firma dello stesso (acquisita dal giudice di primo grado all’udienza del 5/12/2012 ed alla quale questa Corte accede a motivo della doglianza proposta).
In particolare, la Corte territoriale, dopo aver riportato testualmente (a p. 3 della sentenza impugnata) le prime 14 righe della memoria B.F., è tornata nuovamente a fare riferimento alle ultime delle suddette righe (a p. 6 della stessa sentenza), affermando che in esse si diceva, «espressamente», che il B.F. «aveva egli stesso invitato l’amministratore del condominio a presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del contratto»; quando invece nella predetta memoria si legge l’esatto contrario (e cioè che il B.F. «era stato invitato dall’amministratore prò tempore del detto condominio a presentare la documentazione necessaria per la formale stipula del relativo contratto d’appalto»).
L’avere compreso in modo errato il senso letterale di una frase contenuta nella memoria illustrativa a firma del teste B.F. – frase che, si noti, deve essere stata ritenuta particolarmente rilevante dalla Corte di appello, tanto da essere riportata per ben 2 volte nel corso della peraltro scarna motivazione – è di per sé indice della sussistenza, nella sentenza impugnata, del vizio denunciato dai ricorrenti.
Per le ragioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Palermo, che provvederà anche alla regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.:
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Palermo cui rimette anche la determinazione delle spese tra le parti relative a questo giudizio.
FONTE: Cassazione Penale
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