Cassazione Penale, Sez. 4, 19 maggio 2016, n. 20993 – Infortunio su un cestello. Ricorso inammissibile
Fatto:
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Enna, con ordinanza 18 novembre 2014, emessa ad esito di udienza camerale, ha disposto l’archiviazione del procedimento pendente nei confronti di ignoti in relazione all’Infortunio sul lavoro occorso (e, quindi, al reato di cui all’art. 590 cod. pen.), occorso in Agira l’11 gennaio 2013 a F.B..
2. Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso la persona offesa F.B., a mezzo del proprio difensore di fiducia, articolando un unico motivo di ricorso con il quale deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli arti. 110, 590 commi 2 e 3 e 125 comma 3 c.p.p..
In particolare, il ricorrente ricorda che nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione aveva dedotto che non era stata adeguatamente valutata (alla luce della relazione eseguita dagli Ispettori del lavoro) la condotta del datore di lavoro e del capo cantiere, ad es., per non essere stata prevista la presenza di un’altra unità per controllare dalla base l’operato suo (peraltro privo dell’attestato di abilitazione) e del C. (che non era neppure operaio specializzato). D’altra parte, non era stata ritenuta abnorme la condotta da lui tenuta (su ordine del responsabile capo cantiere B.N.). Per tali ragioni aveva chiesto: a) in via principale, di prescrivere al PM la formulazione di imputazione coatta nei confronti del datore di lavoro, del capo cantiere ovvero del soggetto preposto alla sicurezza, previa loro identificazione; b) in via subordinata, di svolgere ulteriori indagini nei confronti del suddetti soggetti al fine di verificare, anche attraverso la loro audizione, le ragioni dell’accaduto e della scelta operata.
Aggiunge il ricorrente che il Gip, nell’ordinanza impugnata, ha ritenuto che l’infortunio si era verificato esclusivamente per un errore di valutazione delle distanze compiuto dalla persona offesa, così implicitamente escludendo il suo comportamento anomalo. Ricorda al riguardo che dalla relazione ispettiva risulta che: a) egli, al momento dell’infortunio, stava dal cestello provvedendo ad effettuare la manovra di estensione del braccio idraulico dalla piattaforma per saldare, sempre in estensione, una staffa metallica; b) proprio nel corso di questa manovra l’altro lavoratore C. (che non osservava le movimentazioni compiute dal compagno alla consolle) sentiva che lui (F.B.) emetteva un lamento e, giratosi, constatava che lui era rimasto incastrato tra la trave di orditura del tetto e la consolle dei comandi del cestello.
In definitiva, il suo non sarebbe stato un comportamento esorbitante la tipologia di lavoro e neppure sarebbe stato un comportamento incompatibile con il procedimento produttivo. Egli ed il C., su ordine dal capo cantiere, stavano operando a monte, su un cestello, da soli in estensione ad una altezza di metri 20 dal suolo senza il controllo a valle da parte del capo cantiere o di altro personale addetto alla sicurezza. Si erano (dunque provati ad operare in una situazione di alto rischio – prevedibile per la mancanza di sua specifica formazione ed abilitazione ed evitabile per il tramite di un maggiore controllo da parte degli organi preposti alla sicurezza del cantiere – che altre persone erano chiamate a governare. La sua condotta non aveva avuto effetto interruttivo, in quanto l’infortunio era riconducibile all’area di rischio della lavorazione.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte in sede di requisitoria scritta conclude per l’inammissibilità del ricorso, facendo presente che la persona offesa è legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso il decreto di archiviazione esclusivamente in caso di violazione del contraddittorio. Detta violazione non è avvenuta nel caso di specie, nel quale si è regolarmente svolta la udienza camerale. Pertanto, trattandosi di doglianze nel merito della decisione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Diritto:
1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, va dichiarato inammissibile.
2. Al riguardo, è sufficiente ripercorrere gli insegnamenti di questa Corte in punto di impugnazione in sede di legittimità di provvedimenti emessi in materia di archiviazione della notizia di reato in presenza di opposizione della persona offesa alla richiesta del PM.
2.1.Innanzitutto va ricordato l’art. 410 comma 1 e comma 2 c.p.p. ai sensi del quale il Giudice per le indagini preliminari, se l’opposizione è inammissibile (per l’omessa indicazione dell’oggetto dell’investigazione suppletiva ovvero per l’idoneità delle prove richieste ad incidere sulle risultanze delle indagini preliminari) e la notizia di reato è infondata, dispone l’archiviazione con decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. Al riguardo della suddetta declaratoria, che viene emessa ’’de plano” e, dunque, senza previa udienza camerale, è stato precisato (cfr. Sez. 6, sent. n. 53433 del 06/11/2014, in proc. c. ignoti, Rv. 262079), che il giudice deve valutare non solo la pertinenza ma anche la rilevanza degli elementi di prova su cui l’opposizione si fonda, intesa quest’ultima come concreta incidenza dei predetti elementi sulle risultanze delle indagini preliminari (Cass. Sez. 6, n. 12833 del 26/02/2013, Adolfi, Rv. 256060; Sez. 5, n. 566 del 21/11/2013, De Michele, Rv. 258667). Di tale valutazione il giudice deve dar conto nella motivazione del decreto di archiviazione con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici.
2.2. Al di fuori della ipotesi che precede, in presenza di un’ammissibile opposizione della persona offesa, il giudice, al fine di decidere (sulla richiesta di archiviazione e sulla relativa opposizione), deve provvedere a norma dell’art. 409 commi 2,3,4 e 5 (e, dunque, fissare udienza camerale).
L’eventuale provvedimento di archiviazione, emesso senza la previa udienza camerale, deve considerarsi emesso con violazione della garanzia del contraddittorio e perciò impugnabile con il ricorso per cassazione (Cass. Sez. 7, n. 18071 del 26/02/2008, Trapazzo, Rv. 239834) : il ricorso innanzi a questa Corte è dunque ammissibile nella sola ipotesi in cui il giudice, avendo proceduto (senza previa udienza camerale, pur in presenza di una ammissibile opposizione della persona offesa) all’archiviazione del procedimento, ha di fatto impedito alla persona offesa opponente di interloquire in ordine alla necessità di dare ulteriore corso al procedimento.
Come precisato da altra Sezione di questa Corte regolatrice (cfr. Sez. 1, sent. n. 9440 del 03702/2010, Di Vincenzo, Rv. 246779 in fattispecie nella quale era dedotta proprio l’abnormità della ordinanza di archiviazione), “osta a una diversa lettura il principio di tassatività dei mezzi d’impugnazione e non v’è ragione costituzionalmente imposta di un ampliamento della piattaforma dei vizi denunziabili mediante ricorso. La natura, ‘interlocutoria e sommaria… finalizzata a un controllo di legalità sull’esercizio dell’azione penale e non a un accertamento sul merito dell’imputazione’ (C. cosi. ord. nn. 153 del 1999, 150 del 1998, 54 del 2003; sent. n. 319 del 1993), dell’archiviazione e la ratio, esclusivamente servente il controllo di legalità e obbligatorietà dell’azione penale, che tradizionalmente si riconosce assistere lo ius ad loquendum e gli strumenti di tutela dell’offeso (‘negli stretti limiti in cui ciò risponda’ a tale funzione di controllo: C. cost. ord. n. 95 del 1998), consentono d’affermare, difatti, che alla pretesa sostanziale del denunziante/querelante offrono comunque adeguata garanzia: da un lato la possibilità di sollecitare una riapertura delle indagini anche sulla scorta di indagini difensive; dall’altro l’intatta facoltà esercitare i propri diritti d’azione e difesa, ampiamente e senza preclusione alcuna, nella sede (civile) propria”.
2.3. Unica eccezione alla regula iuris sopra precisata ricorre nel procedimento davanti al giudice di pace. La giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5, sent. n. 31930 del 6/5/2010, Curto) ha già avuto modo di affermare che, nel suddetto procedimento, non è prospettabile alcuna violazione del contraddittorio nell’omessa fissazione dell’udienza camerale per la decisione sull’opposizione della persona offesa, non essendo previsto tale adempimento in detto procedimento. Il d. Igvo. n. 274 del 2000, all’art. 17, infatti, prevede, in deroga al disposto dell’art. 410 comma 3 cod. proc. pen., che, anche nel caso di opposizione, il giudice di pace decida con decreto (ove disponga l’archiviazione), ovvero con ordinanza (ove restituisca gli atti al pubblico ministero), senza la preventiva audizione delle parti in udienza. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha anche chiarito che, nell’ipotesi or ora considerata, sussiste pur sempre l’obbligo del giudice di prendere in considerazione le ragioni addotte dalla persona offesa opponente (precisando che la omessa valutazione, da parte del decreto di archiviazione del giudice di pace, dell’atto di opposizione della persona offesa, in quanto costituente una violazione del principio del contraddittorio, dà luogo a nullità del decreto stesso deducibile con ricorso per cassazione: cfr. Sez. 5, seni. n. 43755 del 6/11/2008, Ropa, Rv. 241803)
2.4. Fissati tali paletti ermeneutici, ritiene il Collegio che, nel caso di specie, il decidente abbia fatto buon governo dei sopra delineati principi di diritto, emettendo ordinanza di archiviazione ad esito di udienza camerale, e, dunque, nel rispetto del contraddittorio.
3. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cosi., sent. n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare in euro 1000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/04/2016.
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