Mafia Capitale. Unimpresa, con corruzione in 10 anni -100 miliardi di Pil in Italia
Lo studio dell’associazione mentre è in corso l’inchiesta della Procura di Roma. Investimenti esteri giù del 16%, costo appalti su del 20%. Aziende crescono del 25% in meno e le pmi soffrono più delle grandi con un tasso delle vendite inferiore del 40%. Il presidente Longobardi: “Giù i costi dell’illegalità a carico delle imprese, speriamo che domani sia la volta buona in cdm”.
Il fenomeno della corruzione in Italia diminuisce gli investimenti esteri del 16% e fa aumentare del 20% il costo complessivo degli appalti. Tra il 2001 e il 2011, la corruzione ha “mangiato” 10 miliardi di euro l’anno di prodotto interno lordo per complessivi 100 miliardi in dieci anni. Le aziende che operano in un contesto corrotto crescono in media del 25% in meno rispetto alle concorrenti che operano in un’area di legalità. E, in particolare, per le piccole e medie imprese hanno un tasso di crescita delle vendite di oltre il 40% inferiore rispetto a quelle grandi. E’ quanto emerge da uno studio di Unimpresa sui costi dell’illegalità, mentre è in corso l’inchiesta della Procura della Repubblica di Roma denominata “Mafia Capitale”. Per il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, “le indagini di questi giorni sulla città di Roma, ma anche quelle meno recenti sul Mose a Venezia e su Expo 2015 a Milano, rendono urgente un intervento serio da parte del governo e del Parlamento per ridurre i costi dell’illegalità che gravano sulle imprese italiane. Speriamo che domani, con il consiglio dei ministri annunciato dal premier Matteo Renzi, sia davvero la volta buona”.
Lo studio di Unimpresa parte dal presupposto che il costo della corruzione nell’Ue raggiunge i 120 miliardi di euro l’anno, pari all’1% del Pil dell’Unione europea. La corruzione può far aumentare del 20% i costi complessivi dei contratti di appalti pubblici. Non è facile calcolare i costi economici complessivi del fenomeno che può essere calcolata, facendo una sintesi tra diverse fonti internazionali, come il 5% del Pil a livello mondiale. Nel mondo ogni anno si pagano più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3% del pil mondiale: a questi danni economici vanno aggiunti quelli altrettanto gravi del degrado etico e sociale. Secondo una recente analisi internazionale, il peggioramento di un punto dell’Indice di percezione della corruzione in un campione di paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari allo 0,39% e del reddito pro capite pari allo 0,41% e riduce la produttività del 4% rispetto al prodotto interno lordo. Visto che l’Italia nel decennio 2001-2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel Cpi da 5,5 a 3,9, si può stimare una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10 miliardi di euro annui in termini di prodotto interno lordo, circa 170 euro annui di reddito pro capite ed oltre il 6% in termini di produttività. Particolarmente pesante, poi, è l’impatto di questi costi sulla crescita del Paese, perché la corruzione diffusa altera, innanzi tutto, la libera concorrenza e favorisce la concentrazione della ricchezza in capo a coloro che accettano e beneficiano del mercato della tangente a scapito di coloro che invece si rifiutano di accettarne le condizioni; la sola discesa nella classifica di percezione della corruzione provoca la perdita del 16% degli investimenti dall’estero; le imprese che operano in un contesto corrotto e che devono pagare tangenti crescono in media quasi del 25% in meno di quelle che non devono affrontare tale problema; mentre le piccole imprese hanno un tasso di crescita delle vendite di oltre il 40% inferiore rispetto a quelle grandi.
Secondo lo studio dell’associazione, quando la corruzione assume carattere endemico e pervasivo, essa diviene sistema, in grado addirittura di falsare la rappresentanza democratica e compromettere la stabilità governativa di un paese. Recenti avvenimenti testimoniano che talvolta le stesse leggi, omettendo di prevedere precisi vincoli di destinazione e rigorosi obblighi di rendiconto all’attività di spesa, crea i presupposti per favorire l’illecita dissipazione del pubblico denaro. Inefficaci risultano anche i sistemi di controllo sociale. Nella finalizzazione dei suoi programmi delittuosi ed economici, la criminalità organizzata pone sempre più cura alle forme di condizionamento dei rami dell’apparato pubblico, alle intromissioni negli stessi circuiti finanziari, ritagliandosi, in tal modo, spazi di potere in ambito economico e nella società civile.
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